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NASA sviluppa un mini robot per esplorare i meandri dei vulcani

L'obiettivo è predire le eruzioni, valutare i rischi e capire come il comportamento del magma una volta fuoriuscito dal vulcano. Prima che tutto ciò avvenga

NASA sviluppa un mini robot per esplorare i meandri dei vulcani Fonte foto: Nasa

VolcanoBot 2 è il successore del VolcanoBot 1 già testato con successo nel vulcano Kilauea alle Hawaii nel maggio del 2014. Questo nuovo robot – molto più sofisticato, piccolo e leggero – è ancora in fase di sviluppo e sarà messo alla prova, sempre nel Kilauea, agli inizi di marzo di quest’anno.

Il progetto è stato fortemente voluto dal team JPL (Jet Propulsion Laboratory) NASA a Pasadena. Esplorare vulcani è un’operazione molto rischiosa. Ecco perché l’utilizzo dei robot diventa fondamentale. Non mettono in pericolo la vita dei ricercatori e sono così piccoli e maneggevoli da poter entrare anche nelle fessure più strette, impossibili da esplorare per gli esseri umani, al fine di acquisire nuove informazioni e conoscenze sulle caratteristiche di queste meraviglie geologiche che rappresentano, proprio per la loro “inaccessibilità”, ancora dei luoghi in grado di riservare grandi sorprese.

Vulcani tutti da scoprire

«Non sappiamo esattamente come i vulcani eruttano. Abbiamo elaborato dei modelli, ma sono tutti molto, molto semplificati. Questo progetto punta a rendere questi modelli più realistici» ha spiegato Carolyn Parcheta del team JPL. Il primo robot – il VolcanoBot 1 (lungo 30 cm con due ruote da 17 cm l’una) – se l’è cavata egregiamente un paio di anni fa all’interno del vulcano Kilauea. Sebbene, nel corso dell’esplorazione, sia purtroppo finito in una fessura dove giace inattivo, era riuscito a scendere a una profondità di 25 metri per mappare i percorsi della lava in occasione dell’eruzione del 2014. VolcanoBot 1, prima di interrompere le trasmissioni, aveva comunque inviato ai ricercatori una mappa 3D dei luoghi esplorati che hanno svelato più di una sorpresa: i rigonfiamenti visibili sulla parete rocciosa in superficie del vulcano sono presenti anche all’interno e che la fessura sembra continuare più in profondità, anche se il robot non è riuscito a spingersi più in basso. I ricercatori vogliono, quindi, tornare all’intero del vulcano hawaiano e continuare le loro ricerche grazie a un nuovo modello – VolcanoBot 2 – migliorato grazie alle esperienze del predecessore.

I ricercatori non si arrendono

VolcanoBot 2 è più piccolo e più leggero rispetto al suo predecessore, con una lunghezza di 25 centimetri e una maggiore mobilità grazie a motori più potenti e due ruote da 12 cm più robuste di quelle di VolcanoBot 1. La vera novità è che i ricercatori hanno sviluppato un sistema di comunicazione elettrica più affidabile in modo che i ricercatori possono utilizzare video dal vivo per la navigazione tramite un sensore 3D. Il robot è, inoltre, dotato – questa volta – anche di uno storage interno per immagazzinare i dati e le immagini raccolte e “occhi” elettronici ancora più sofisticati per riprendere meglio – e in più direzioni – le strutture interne delle fessure vulcaniche. Il “battesimo del fuoco”, ed è proprio il caso di dirlo, è fissato sempre all’interno del Kilauea per continuare le esplorazioni iniziate da VolcanoBot 1.

Un occhio ricolto agli altri pianeti

La ricerca del team JPL ha anche implicazioni per vulcani extraterrestri. «Veicoli spaziali della NASA, negli ultimi anni, hanno rimandato immagini incredibili di grotte e fessure che sembrano bocche vulcaniche su Marte, Mercurio e su satelliti naturali come la nostra Luna, Encelado, o Europa. Non abbiamo, ancora, la tecnologia per esplorare potenziali vulcani al di fuori del nostro pianeta» racconta Carolyn Parcheta. Come avvenissero queste eruzioni vulcaniche extraterrestri resta ancora un mistero, e i VolcanoBot riusciranno a svelarci qualche mistero.