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SICUREZZA INFORMATICA

Come Facebook ha provato a impossessarsi dei tuoi dati

E' di questi giorni la notizia che Facebook sarebbe riuscita a mettere le mano sui dati di migliaia di adolescenti statunitensi pagandoli 20 dollari al mese

Privacy su Facebook Fonte foto: Shutterstock

L’ultimo tentativo, anche se non riguarda direttamente gli utenti italiani, è piuttosto “fresco”. A fine gennaio 2019 Facebook è stata costretta a ritirare dall’App Store la piattaforma Research che, in cambio di circa 18 euro al mese (20 dollari), aveva accesso a tutti i dati e tutte le attività svolte dagli adolescenti statunitensi con il loro smartphone.

Grazie a Research, Facebook era in grado non solo di accedere alla cronologia web, ma anche di leggere i messaggi scambiati con le varie app di messaggistica (compresi foto e video), scansionare il testo delle email inviate e ricevute e tracciare i movimenti degli utenti con il GPS. Insomma, con una spesa tutto sommato contenuta, Facebook poteva avere liberamente accesso alla vita di adolescenti e sapere cosa facevano e dove si trovavano.

A ben vedere, però, non si tratta della prima volta che Facebook viene colta con… le mani della marmellata. Come fatto notare da diversi analisti, infatti, la piattaforma social ha già tentato in varie occasioni di trovare una scorciatoia per avere accesso ai dati degli utenti in maniera libera e senza filtri. Ecco quelli più celebri

VPN gratis Onavo

Nel 2013 Facebook acquista Onavo, una startup che offriva un servizio VPN molto apprezzato dagli utenti e che prometteva di “bloccare siti potenzialmente pericolosi e proteggere la tua privacy”. A metà del 2018, Apple ha scoperto che l’app, prima di anonimizzare i dati degli utenti, li analizzava per studiare il comportamento online di chi la utilizzava. Non solo: la nuova Onavo era anche in grado di scoprire quali app stessero usando gli utenti e cosa facessero con le varie app. Inutile dire che nel giro di poche ore l’app è stata esclusa dall’App Store e non è stata più resa disponibile.

Storie sponsorizzate

Nel 2011 Facebook lancia la funzionalità “Storie sponsorizzate”, contenuti pubblicitari realizzati per grandi marchi come Coca Cola e Starbucks partendo da dati personali degli utenti come check in all’interno di luoghi pubblici, foto, post, commenti e ogni altro contenuto disponibile su Facebook. Peccato, però, che gli utenti non potessero scegliere se fare parte o meno di questo programma e, soprattutto, non avevano fornito il consenso per questo particolare utilizzo dei loro dati. Il tutto si è chiuso con una class action e Facebook costretta a staccare un assegno da 9 milioni di euro.

Chiamate e messaggi da Android

Il più grande scandalo legato al trattamento dei dati da parte di Facebook, però, resta quello di Cambridge Analytica, la società di data analysis capace di profilare centinaia di migliaia (o forse milioni) di persone in tutto il mondo partendo da un semplice quiz sulla piattaforma social di Mark Zuckerberg. Proprio partendo da questo caso, alcuni giornalisti sono stati in grado di scoprire che l’app Facebook per Android non permetteva solamente di accedere al proprio profilo, ma raccoglieva dati di ogni tipo sugli utenti. Un esempio? La lista delle chiamate fatte e ricevute e dei messaggi di testo inviati e ricevuti attraverso il proprio smartphone. Dati molto sensibili, che Facebook custodiva gelosamente nei propri database (anche se poco aveva a che fare con il social network stesso).

Profili ombra

Le indagini condotte nell’ambito di Cambridge Analytica hanno permesso di scoprire che Facebook è solita creare “profili ombra” anche di utenti che non solo non hanno mai scritto un post sulla sua piattaforma, ma non si sono mai nemmeno iscritti. Alcune riviste statunitensi hanno scoperto, infatti, che tra i suggerimenti di amicizia della sezione “Persone che potresti conoscere” compaiono anche i nomi di persone mai iscritte a Facebook, ma che magari hanno interagito con te su indirizzi di posta elettronica non direttamente collegati al tuo profilo social. Insomma, dei veri e propri fantasmi creati da Facebook utilizzando informazioni sul tuo conto che tu, probabilmente, neanche immaginavi potesse avere.

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