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SCIENZA

Il segreto per la felicità? Un microchip nel cervello

Un microchip nel cervello può essere la chiave per la felicità? L'esperimento su una donna affetta da depressione potrebbe essere il primo di una lunga serie

La chiave della felicità potrebbe essere in un microchip Fonte foto: iStock

È stato pubblicato su Nature Medicine il primo studio sulla stimolazione cerebrale personalizzata: la tecnologia, che prevede l’impianto di un particolare microchip nel cervello dei pazienti, sarebbe in grado di trattare con grande successo alcuni casi di depressione grave.

È il caso di Sarah, una delle tre persone sino ad ora sottoposte all’esperimento: la 38enne, affetta da qualche anno da una forma grave di depressione che sembrava non rispondere alle cure, oggi sta bene. Che il segreto per la felicità sia un microchip nel cervello?

Il primo esperimento: Sarah

Sarah è stata la prima a prendere parte all’esperimento, portato avanti dai ricercatori dell’Università della California, a San Francisco. I medici hanno impiantato chirurgicamente, nel cervello della donna, un piccolo chip alimentato a batterie, del tutto simile ad un “pacemaker da cervello”, come lo chiamano alcuni.

Il dispositivo è infatti capace di individuare gli schemi, nell’attività neurale, che corrispondono ai picchi di tristezza del paziente, e di inviare impulsi elettrici capaci di tenere a bada i processi che causano la depressione.

Soltanto 12 giorni dopo l’avvio del dispositivo, nell’Agosto 2020, la situazione di Sarah indicava già una completa remissione della malattia, riportano i ricercatori.

“È stato come se gradualmente cambiasse la mia visuale sul mondo” ha dichiarato Sarah al New York Times, il cui cognome rimane anonimo “il dispositivo ha tenuto a bada la mia depressione, permettendomi di ricostruire la mia vita”.

Quello di Sarah è il primo caso documentato in cui la stimolazione profonda del cervello appare in grado di trattare la depressione. Usata già per trattare il morbo di Parkinson, la stimolazione profonda non è ancora una pratica autorizzata in medicina in quanto sino ad ora i risultati si sono rivelati inconsistenti.

I risultati del nuovo esperimento potrebbero aprire la strada ad una nuova generazione di studi, che già coinvolgono decine di team in tutto il mondo.

Come funziona il pacemaker da cervello

Se la tecnologia della stimolazione profonda non aveva ancora dato i risultati sperati, commentano i ricercatori di San Francisco, è perché non si era ancora giunti alla completa personalizzazione dei trattamenti.

“Il disturbo di una persona può essere molto diverso da quello di un’altra”, ha affermato la dottoressa Katherine Scangos, tra gli autori del report sul caso di Sarah.

I microchip sono stati dunque impiantati in due specifiche regioni del cervello di Sarah, dopo un’attenta mappatura dell’attività cerebrale della donna. Sarah ricorda che nel corso dei dieci giorni in cui il suo cervello è stato sottoposto ai diversi stimoli per individuare la sede del chip si è sorpresa a ridere di gran gusto, come non accadeva da anni.

È stata la prima volta che ho riso spontaneamente negli ultimi cinque anni”, ricorda la donna.

La fase esplorativa ha condotto i ricercatori a posizionare due microchip nel cervello di Sarah, in due particolari sedi coinvolte con l’origine dei pensieri depressivi della donna. Uno è stato posizionato nello striato ventrale, coinvolto nelle emozioni e nel meccanismo di ricompensa, mentre l’altro ha trovato posto nei pressi dell’amigdala.

Mentre il primo chip si è dimostrato in grado di “spegnere” gli stimoli nervosi che conducevano Sarah alla depressione, il secondo chip riesce a “predire quanto i sintomi diventeranno più presenti”, afferma la dottoressa Scangos.

A differenza degli altri impianti di stimolazione cerebrale profonda, il pacemaker da cervello di Sarah non emette una stimolazione continua, ma è programmato per rilasciare uno stimolo di sei secondi ogni volta che riconosce un’attività legata alla depressione.

Sarah oggi, a poco più di un anno dall’impianto, è tornata a vivere da sola, si è iscritta di nuovo all’Università e si prende cura della famiglia. “Mi sento presente” afferma la paziente, che si dice anche capace di sviluppare una distanza emotiva dai cattivi pensieri.

Il Dottor Chang, tra gli autori dello studio, crede che gli incredibili risultati dell’esperimento effettuato su Sarah possano aiutare un grande numero di persone, e curare diversi tipi di malattie, oltre che aprire la strada a nuove tecniche di intervento meno invasivo. “Il nostro lavoro adesso” affermano gli scienziati “è quello di identificare quali pazienti sottoporre a questo tipo di intervento”.