
Forse stiamo per parlare per la prima volta a una balena
Lo studio, che si chiama CETI, va avanti dal marzo 2020 con un gruppo di studiosi interdisciplinare. In cosa consiste e come vuole farci comunicare con le balene.
Michael Bronstein non ha mai visto una balena in vita sua. Eppure potrebbe essere uno dei responsabili di uno studio le cui conseguenze sarebbero così rivoluzionarie da permetterci di parlare con i giganteschi mammiferi acquatici.
Nel gruppo interdisciplinare che si è dato questo ambizioso obiettivo, ci sono, insieme all’informatico israeliano esperto di machine learning, altri esperti e ricercatori, che si sono dati l’obiettivo di parlare a una balena. Un obiettivo che è stato percorso, ormai, da più di un anno.
In cosa consiste l’esperimento per riuscire a parlare per la prima volta a una balena
Nel marzo 2020 muove i primi passi il progetto di comunicare alle balene dopo aver codificato il loro linguaggio grazie all’intelligenza artificiale. Lo studio si chiama CETI (for Cetacean Translation Initiative). Se riusciremo davvero a capire cosa si dicono tra loro le balene, e come lo fanno, saremo anche in grado di riprodurre i suoni chiave e avere una conversazione con uno di questi giganteschi animali. La questione del linguaggio negli animali è decisamente controversa. Alcuni scienziati sono convinti che le creature animali non “parlino”, ma “comunichino”.
Gli animali sanno davvero “parlare” tra loro?
“Prima di tutto, il linguaggio ha semantica. Ciò significa che certe vocalizzazioni hanno un significato fisso che non cambia”, spiega il biologo marino Karsten Brensing, autore di diversi libri sulla comunicazione animale. Brensing crede che non abbiamo ancora guardato abbastanza da vicino la questione del modo in cui gli animali si scambiano messaggi. Le ghiandaie siberiane, ad esempio, sono uccelli che utilizzano un vocabolario di 25 richiami circa, alcuni dei quali significano sempre la stessa cosa. Ma, oltre la semantica, deve esserci, nel linguaggio animali, una grammatica. Non contano espressioni con una nota emotiva soltanto: versi che corrispondono alla felicità o al sonno.
I capodogli sono particolarmente utili a orientarsi in questa zona grigia del linguaggio. I loro “clic” infatti sono facilmente trasponibili in una sequela di 1 e di 0, quindi possono essere codificati agevolmente e comunicati a una macchina. Bronstein è fiducioso della buona riuscita dell’esperimento. E consapevole del rischio che, nelle prime difficili fasi della comunicazione con una balena, una risposta probabile potrebbe essere semplicemente: “Smettila di dire sciocchezze”.
Balene a parte, c’è chi immagina che saremo in grado di parlare con cani e gatti entro 10 anni. Google invece ha lanciato un’app che consente di parlare con gli occhi.
Giuseppe Giordano