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Steve Jobs: a dieci anni dalla morte Apple è più viva che mai

Sono passati dieci anni dalla morte di Steve Jobs, dieci anni durante i quali Apple è stata guidata da Tim Cook verso successi di portata epocale

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steve jobs Fonte foto: photocritical / Shutterstock

Quando è morto Steve Jobs, esattamente dieci anni fa il 5 ottobre del 2011, molti temevano che Apple non avrebbe fatto molta strada senza di lui. Invece non è stato affatto così, anche se oggi Apple è una azienda molto diversa da quella fondata da Steve Jobs e Steve Wozniak nel 1976 (tra i fondatori c’era anche Ronald Wayne, ma lasciò dopo appena due settimane).

Jobs, malato da tempo di tumore al pancreas, aveva abbandonato il ruolo di CEO di Apple il 24 agosto dello stesso anno: la sua carica andò al direttore delle vendite di Apple, Tim Cook, che ancora oggi è a capo dell’azienda. Steve Jobs, però, già nel 2007 aveva posto le basi della rivoluzione digitale presentando al mondo il primo iPhone, uno smartphone con schermo multi-touch che, pur non avendo molto di più di altri validi concorrenti, ebbe un successo commerciale enorme: in appena 200 giorni Apple ne riuscì a vendere 4 milioni di esemplari. Ma quella di Jobs non è una storia fatta solo di successi, né una vita passata interamente in Apple: l’azienda che lui stesso fondò, infatti, fu la stessa a licenziarlo nel 1985.

Steve Jobs: tra successi e fallimenti

Che Jobs sia stato un personaggio eccentrico, con una visione del mondo e della tecnologia molto diversa da quella dell’americano medio, è ormai fuor di dubbio. Questo lo portò a grandissimi successi, come nel caso dell’iPhone, ma anche a clamorosi fallimenti.

Famoso, ad esempio, il caso del computer Apple III presentato da Jobs nel maggio del 1980. Doveva essere il successore di Apple II, computer che aveva avuto un discreto successo tra le piccole aziende americane.

Jobs fece un errore enorme: impose ai progettisti di non montare una ventola per raffreddare l’interno della macchina, poiché riteneva che rovinasse il design del computer. Il risultato fu disastroso: su circa 120 mila esemplari prodotti, Apple ne dovette richiamare 14.000 perché si surriscaldavano e, spesso, la scheda madre si bruciava.

Nel 1985, a causa di frequenti litigi con i dirigenti dell’azienda (ormai quotata in borsa), Jobs viene estromesso da tutti i progetti in corso in Apple e “fuoriesce” dalla società (in realtà fu un vero e proprio licenziamento, ma mascherato). Dopo poco fondò una nuova società, la NeXT, che produceva sia computer che software.

Ancora una volta, però, l’hardware non diede a Jobs le soddisfazioni commerciali che cercava e nel 1993 NeXT chiuse la divisione per concentrarsi sul software e, in particolare, sul sistema operativo NeXTSTEP.

Stavolta la decisione fu azzeccata, perché NeXTSTEP fu il cavallo di Troia che riportò Jobs dentro Apple: l’azienda di Cupertino, infatti, per risolvere i problemi del proprio sistema operativo Mac OS, nel 1996 comprò per 400 milioni di dollari NexT: il sistema operativo NeXTSTEP divenne presto la base tecnica per il nuovo macOS.

Anche sul fronte iPhone, però, la storia non fu tutta rose e fiori. Il successo commerciale di quasi tutti i modelli è indubbio, ma più di una versione del melafonino si è dimostrata non all’altezza del blasone. Celeberrimo il cosiddetto “antenna-gate” dell’iPhone 4: se impugnando il telefono l’utente copriva l’angolo in basso a sinistra del dispositivo cadeva la chiamata. Anche in questi casi a rovinare il prodotto è stata la priorità data al design e non agli aspetti tecnici.

Jobs, tuttavia, è stato e resta ancora un punto di riferimento per gli amanti della tecnologia. O lo si ama o lo si odia, di certo non passa indifferente, ma tutti i suoi errori sono stati dettati da una sua caratteristica ben precisa: quella di guardare sempre avanti. A volte anche troppo.

Dieci anni senza Steve Jobs (e con Tim Cook)

Trovare un altro Jobs, nel 2011, era quindi impossibile (e lo sarebbe probabilmente anche oggi). La scelta del sostituto, Tim Cook, fu fatta all’insegna della continuità aziendale: Cook conosceva Apple a menadito, era entrato nel 1998 per poi scalare le posizioni di vertice fino alla nomina a direttore delle vendite globali. Dentro Apple Cook conosceva praticamente tutti, era in buoni rapporti con tutti, lo avrebbero ascoltato tutti. Anche se nessuno pensava di lui che fosse un talento del calibro di Jobs.

Fatto sta che, a dispetto di quanto molti pensassero inizialmente, Cook non è stato un uomo di transizione ma è rimasto saldamente in carica fino ad oggi e, nel 2018, Apple è stata la prima azienda quotata a Wall Street a superare il trilione di dollari di capitalizzazione.

Oggi Apple è l’azienda che vale di più al mondo, seguita da Microsoft e da Amazon, e questo la dice lunga non solo sulla bravura di Tim Cook, ma anche sulla bontà della visione di Steve Jobs: l futuro è digitale, tecnologico e personale, proprio come pensava il buon Steve.

In dieci anni, dopo Jobs, Apple ha presentato una sfilza di prodotti di successo senza però rinunciare alla mentalità (e agli errori) tipici del fondatore: l’iPhone 6 Plus del 2014, ad esempio, si piegava con imbarazzante facilità. Eppure, a fine 2015, Apple annunciava di aver fatto il record di vendite con questo modello.

Più recentemente, l’anno scorso, Apple segna un altro record con la gamma iPhone 12 al cui interno, però, c’è uno dei più grandi flop della storia dell’azienda: l’iPhone 12 mini. In teoria un progetto rivoluzionario: piccolo e compatto, con connessione 5G e con le stesse ottime caratteristiche tecniche degli iPhone 12 standard. Tranne due: lo schermo e la batteria, entrambi ovviamente più piccoli.

A Steve Jobs sarebbe piaciuto moltissimo con il suo design raffinato e la sua capacità di entrare comodamente nella tasca dei pantaloni, ma la produzione è stata interrotta: nessuno lo voleva, perché la batteria troppo piccola non teneva acceso il cellulare a sufficienza.

Ma poco importa, perché Apple ha già presentato i suoi nuovi gioielli: gli iPhone 13.