La scienza è riuscita a generare cellule staminali di topo partendo da geni antichissimi
Sono state usate cellule di un organismo unicellulare risalente a 422 milioni di anni fa e l'impatto della scoperta è enorme
Non solo clonazione: la scienza sta raggiungendo risultati sempre più sorprendenti, padroneggiando i più svariati materiali genetici e imparando a sfruttare a proprio vantaggio le loro caratteristiche. Ne è la dimostrazione uno degli ultimi esperimenti in materia, che ha visto un team di ricercatori riuscire a generare delle cellule staminali di topo utilizzando geni provenienti da alcuni antichissimi organismi unicellulari.
Si tratta di un avvenimento scientifico senza precedenti, perché implica la possibilità di generare in laboratorio un topo completamente sviluppato: un traguardo che rimodella la comprensione delle origini genetiche delle cellule staminali, offrendo una nuova prospettiva sui legami evolutivi tra gli animali e i loro più arcaici antenati.
La riflessione sulla multicellularità
Ma andiamo per ordine: come si legge nello studio pubblicato su Nature Communications, tutto è nato quando il dottor Alex De Mendoza della Queen Mary University di Londra ha avanzato una riflessione sull’evoluzione della multicellularità animale. De Mendoza, sottolineando quanto la multicellularità sia stata una fase fondamentale che ha plasmato tutti gli aspetti della storia della Terra, si è chiesto quanto profondi fossero i legami con quella che è stata la fase unicellulare.
Per riuscire a rispondere ai suoi quesiti De Mendoza, affiancato da un team multidisciplinare, si è messo in contatto con i ricercatori della University of Hong Kong. Il suo obiettivo? Esaminare in modo avanzatissimo alcuni geni che si trovano nei coanoflagellati, organismi unicellulari imparentati con molti di quelli che sono gli animali contemporanei.
La squadra internazionale ha trovato un filo conduttore di enorme importanza: i coanoflagellati possiedono infatti delle versioni dei geni Sox e Pou, distintivi delle cellule staminali (a loro volta ritenute connesse solo alla multicellularità) e fattori chiave della pluripotenza, la capacità delle stesse staminali di svilupparsi in qualsiasi tipo di cellula.
L’esperimento
Fino ad adesso, dunque, si riteneva che i geni Sox e Pou si fossero evoluti esclusivamente all’interno degli organismi multicellulari. La scoperta del team capeggiato da De Mendoza, invece, rivela che esistevano da molto prima che sorgesse la vita multicellulare, svolgendo ruoli in processi unicellulari che sono stati poi “riutilizzati” dagli organismi complessi.
Partendo da ciò, i ricercatori hanno svolto l’esperimento pratico: hanno manipolato il gene Sox di un coanoflagellato risalente a 422 milioni di anni fa sostituendolo con una scrittura genetica identica a quella del topo. Il risultato? La sostituzione è riuscita a riprogrammare le antichissime cellule e ad attivare la pluripotenza, confermando la funzionalità dei geni più antichi.
Ma non solo: per testarne l’efficacia, il team ha poi iniettato le cellule riprogrammate in embrioni di topo in via di sviluppo. Gli animali in evoluzione hanno mostrato tratti fisici sia degli embrioni donatori sia delle cellule staminali introdotte, come macchie di pelo nere e occhi scuri. Ciò ha dimostrato che il gene Sox derivato dal coanoflagellato si è integrato perfettamente nello sviluppo dell’animale.
L’impatto della scoperta
La scoperta ha un impatto enorme: non solo riscrive la biologia evolutiva evidenziando come l’evoluzione riutilizzi strumenti genetici esistenti, trasformandoli in motori di innovazione, ma potrebbe rivoluzionare la medicina rigenerativa.
Comprendere come i geni antichi permettano la pluripotenza, infatti, offre nuovi percorsi per perfezionare le terapie con cellule staminali e migliorare le tecniche di riprogrammazione cellulare.