SCIENZA

Abbiamo trovato qualcosa di straordinario nel deserto: scoperti nuovi siti archeologici

Grazie all'intelligenza artificiale sono state identificate alcune aree d'interesse archeologico: la scoperta potrebbe cambiare l'approccio alla ricerca

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E se fra le dune e sotto gli enormi cumuli di sabbia ci fosse qualcosa? E se sotto i granelli che si stratificano momento dopo momento si celassero delle verità storiche che non siamo in grado di vedere? Devono essere queste le domande che si sono fatti moltissimi scienziati indagando il deserto arabico, ben consci della sua storia (a dir poco) secolare.

Di fatto avevano ragione: secondo una recente intuizione (e scoperta) esistono delle aree del Rub al-Khālī, deserto sabbioso che si estende nella parte più meridionale della Penisola araba, che nascondono enormi zone di interesse archeologico. E per saperne di più si può contare su un’alleata più che moderna: l’intelligenza artificiale.

Le difficoltà degli archeologi nel deserto

Bisogna fare una doverosa premessa: molte aree del Rub al-Khālī, noto anche come Quarto Vuoto, sono inadatte all’esplorazione umana. Come ben sappiamo, il metodo convenzionale utilizzato dagli archeologi per identificare possibili siti di interesse è l’indagine sul campo, ma in ambienti aridi come il deserto questo approccio non solo è laborioso e impegnativo, ma spesso è anche infruttuoso.

Le tempeste di sabbia rendono estremamente complessa l’identificazione di potenziali aree di interesse i modelli di dune possono complicare ulteriormente le cose. Eppure, negli ultimi anni è stato possibile iniziare a usare il telerilevamento, che sfrutta immagini satellitari ottiche da siti web come Google Earth.

Un aiuto sicuramente valido, che però da solo è insufficiente: per questa ragione che i ricercatori della Khalifa University di Abu Dhabi hanno pensato di sviluppare una soluzione high-tech per la ricerca di potenziali siti archeologici in aree vaste e aride. Una soluzione che sfrutta una combinazione vincente di immagini satellitari, radar ad apertura sintetica e intelligenza artificiale in grado di restituire una “fotografia” di eventuali siti archeologici presenti sotto le sabbie in continuo movimento.

Il nuovo metodo di indagine

Ma come funziona, esattamente? È presto detto: i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo di apprendimento automatico in grado di esaminare le immagini ottenute tramite l’uso del radar ad apertura sintetica, che per chi non lo sapesse è un metodo di imaging satellitare che impiega onde radio per trovare oggetti nascosti sotto superfici come ghiaccio, sabbia e vegetazione.

Una volta addestrato, l’algoritmo ha fornito al team delle indicazioni precise che hanno portato alla scoperta di nuovi siti archeologici, ricreandone anche dei modelli 3D.  Adesso sono in programma degli scavi nelle aree identificate e gli scienziati sperano che questa tecnica possa in futuro portare alla luce altri tesori archeologici sepolti.

Gli scavi in programma

Gli scavi saranno un vero e proprio test e inizieranno nel complesso di Saruq Al Hadid il mese prossimo. Secondo i ricercatori della Khalifa University ci sono ottime probabilità che sia un successo, perché facendo una stima rapida solo circa il 10% dell’intera area è stata in effetti analizzata e riportata alla luce prima dell’identificazione dei nuovi siti.

Chiaramente, se avrà successo, il progetto amplierà le applicazioni dell’intelligenza artificiale nel campo dell’archeologia. Inoltre, il team prevede di continuare ad addestrare l’algoritmo di apprendimento automatico per migliorarne la precisione, prima di estenderne l’utilizzo ad altre aree, tra cui l’Arabia Saudita, l’Egitto e i deserti dell’Africa.

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