SCIENZA

Ossigeno scuro trovato in fondo all'Oceano Pacifico: cos'è e perché è una scoperta importante

Agglomerati di minerali preziosi producono ossigeno sul fondo dell'Oceano Pacifico: una scoperta sensazionale

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Fonte: 123RF

Uno studio della Scottish Association for Marine Science sembra proprio aver scoperto una sorgente di ossigeno oscura, celata nei fondali oceanici. Un lavoro che getta dubbi sulla teoria che vuole come prima fonte di ossigeno sul nostro pianeta, 3 miliardi di anni fa, degli organismi fotosintetici primordiali. E se invece si fosse trattato di minerali? Ecco i risultati pubblicati sulla rivista Nature Geoscience.

L’origine dell’ossigeno

È un decennio, ormai, che Andrew Sweetman, insieme con i suoi colleghi, studia approfonditamente i fondali oceanici. Lo sguardo è stato rivolto in questo studio soprattutto nella zona di Clarion-Clipperton, nell’Oceano Pacifico. Numerosi ecosistemi sono stati passati in rassegna, fino a svelare ciò che viene definito come noduli polimetallici.

Si tratta di agglomerati di minerali preziosi, la cui presenza non ha stupito gli esperti. Della grandezza di patate, sono disseminati ovunque in quest’area a 4mila metri di profondità. Contengono litio, cobalto, rame, manganese e nichel. Di fatto, materiali sfruttati per la realizzazione di batterie. Com’è facile intuire, dunque, si tratta di un tesoro che farebbe gola a tantissime aziende (l’industria estrattiva sta infatti lavorando allo sviluppo di tecnologie per portare il tutto in superficie).

Se la loro presenza non li ha sorpresi, tutt’altro discorso vale per il segreto che queste rocce custodiscono. Sweetman ha notato qualcosa di strano nel 2013. Lavorava, al tempo, per misurare il flusso di ossigeno in aree circoscritte ricche di noduli. Insieme al suo team si è reso conto di come il flusso di ossigeno verso il fondale sembrava aumentare, invece che diminuire. Non erano però presenti organismi fotosintetici nei paraggi. Dunque? Esclusa l’anomalia delle strumentazioni di rilevazione, si è andati alla ricerca di una risposta alternativa, per quanto insolita.

La scoperta

Lo stesso dato viene rilevato anche nel 2021, sfruttando però stavolta un differente approccio di misurazione. Al tempo gli scienziati valutavano i cambiamenti nei livelli di ossigeno in una camera bentonica (che raccoglie sedimenti e consente l’analisi). L’obiettivo era comprendere il modo in cui viene consumato l’ossigeno dai microrganismi che respirano. Ci si aspettava dunque di veder diminuire i livelli di ossigeno nella camera. Le cose però sono andate diversamente. Nonostante una condizione di oscurità e l’impossibilità di reazioni fotosintetiche, l’ossigeno aumentava.

L’indagine è passata dalla verifica della presenza di eventuali microrganismi capaci di produrre ossigeno. Si è poi ipotizzato che dei noduli polimetallici potessero essere implicati nella vicenda. Catalizzando una reazione differente rispetto a quanto avviene dalla fotosintesi, avrebbero potuto far aumentare i livelli di ossigeno.

Dopo svariati test, è risultato evidente come i noduli si comportino come delle “geobatterie”, secondo l’interpretazione di Sweetman. Di fatto, riescono a generare una piccola corrente elettrica, pari a 1 volt ciascuno. È ciò che scinde le molecole di acqua in idrogeno e ossigeno, che viene così liberato secondo il processo di elettrolisi.

“Almeno in potenza, abbiamo scoperto una nuova fonte naturale di ossigeno. Non sappiamo però quanto possa risultare pervasiva nel tempo e nello spazio. È però qualcosa di estremamente interessante”.

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