È stata fatta una nuova scoperta sul primo buco nero mai rilevato
Un enorme buco nero dell'Universo Primordiale costringe gli scienziati a modificare alcune teorie storiche
Il telescopio James Webb nuovamente protagonista delle ricerche scientifiche della NASA. Stavolta ha rilevato il primo buco nero mai conosciuto dall’uomo, che è risultato molto grande per la sua età. Lo sguardo è rivolto alla galassia GN-z11, individuata per la prima volta nel 2016 dal telescopio Hubble.
Al tempo segnò un record, essendo tanto antica da essersi formata 13.4 miliardi di anni fa, appena 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Un record battuto, in termini di anzianità, ma la galassia in sé è rimasta un enorme enigma per noi.
Un buco nero straordinario
Perché la galassia GN-z11 è considerata misteriosa dagli scienziati? Per essere così vecchia e compatta, è stranamente luminosa. Continua dunque ad attirare l’attenzione della comunità scientifica. Ne ha parlato Roberto Maiolino, astrofisico dell’Università di Cambridge: “Tutto ciò richiederebbe un numero di stelle stipate in un volume molto piccolo”.
Oggi la situazione è ben diversa rispetto ad alcuni anni fa e l’astrofisico, insieme al suo team, ha una spiegazione alternativa per tutta la luce emanava: un buco nero supermassiccio di 1.6 milioni di volte la massa del Sole, circa. Su Nature è stato pubblicato un articolo intitolato Un buco nero piccolo e vigoroso nell’Universo primordiale.
Di per sé il buco nero non emette luce, ma tutto il materiale che volge verso di esso potrebbe essere abbastanza caldo e luminoso da generare lo splendore della galassia ammirato. Un buco nero assolutamente straordinario, che mette in discussione l’origine stessa di alcuni buchi neri, così come il modo in cui crescono e si alimentano.
Nel corso degli ultimi 20 anni, Maiolino ha contribuito attivamente allo sviluppo del telescopio spaziale James Webb, lanciato nel 2021. Fa parte del team che ha progettato e costruito lo spettrometro nel vicino infrarosso, tra i suoi elementi cardine: “Lo strumento è responsabile della suddivisione della luce delle galassie e delle stelle nei loro colori. È essenzialmente l’arcobaleno della galassia”.
Stravolte le passate teorie
Tutto è cambiato nel momento in cui il telescopio Webb è stato indirizzato verso la galassia GN-z11, dal momento che i dettagli restituiti da esso sono stati straordinari: “All’inizio non ci rendevamo conto di cosa ci stesse dicendo. Lo spettro era piuttosto sconcertante. È stato super eccitante”, ha spiegato Maiolino.
Il team ha quindi continuato le proprie analisi, raccogliendo più dati possibili. È stato ipotizzato come il bagliore brillante ultravioletto emanato dalla galassia provenisse da enormi quantità di gas. Questi, vorticando intorno, si riversavano nel buco nero. L’attrito di questo fenomeno avrebbe riscaldato il gas e illuminato, spiegando l’effetto meraviglioso rilevato.
In questo modo il team si è reso conto d’avere a che fare con un buco nero supermassiccio posto al centro della galassia: L’eccitazione è raddoppiata e il tutto è divenuto ancora più interessante”. Non si trattava, infatti, di un buco nero qualsiasi.
Supponendo sia nato piccolo, potrebbe divorare materia a un ritmo incredibile. In realtà dovrebbe necessariamente farlo, al fine di raggiungere dimensioni massicce. Maiolino ha evidenziato i calcoli, spiegando come stia divorando l’equivalente in materia di un Sole ogni cinque anni: “È molto più alto di quello che pensavamo potesse essere possibile per questi buchi neri”.
Ciò che lascia senza parole gli scienziati è che la sua massa da 1.6 milioni di volte quella del nostro Sole, sia stata raggiunta appena 400 milioni di anni dopo il Big Bang. Secondo le teorie classiche, non c’era però abbastanza tempo per raggiungere questo stadio: “Bisogna invocare scenari alternativi”.
Ecco le due possibilità paventate dal team di Maiolino:
- Forse i buchi neri non nascono piccoli ma quelli supermassicci dell’Universo Primordiale potrebbero essere nati tali, a causa del collasso di vaste nubi di gas primordiale;
- Forse le prime stelle sono collassate per formare un mare di buchi neri più piccoli, che potrebbero essersi fusi o aver inghiottito materia più velocemente di quanto pensiamo.