SCIENZA

Altro che neri: individuati oltre 75.000 buchi neri più luminosi del Sole

I buchi neri non sono tutti uguali: alcuni, i più massicci, sono più luminosi del Sole. Un nuovo metodo basato proprio sulla luce ha permesso di inviduarne oltre 75.000.

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Fonte: 123RF - pitris

I buchi neri sono tra gli oggetti più luminosi dell’intero Universo. Sembrerebbe impossibile da credere, visto che sappiamo che si tratta di oggetti che per definizione non permettono nemmeno alla luce di fuggire dalla sua attrazione gravitazionale.
In verità, già Stephen Hawking negli anni Settanta aveva scoperto che qualcosa – poi chiamato Radiazione di Hawking – può uscire dai buchi neri.

Un trilione di volte più luminosi del Sole

Quando una stella supermassiccia muore collassa formando un buco nero, uno degli oggetti cosmici più densi che conosciamo nell’intero Universo. La densità di questi oggetti non permette alla luce di sfuggire all’incredibile forza gravitazionale esercitata dal buco nero, ed è proprio per questo che è così difficile individuarli.

Il mistero che da sempre accompagna questo affascinante fenomeno celeste è dovuto in larga parte al fatto che non possiamo osservare direttamente un buco nero.

La prima foto di un buco nero, che fece il giro del mondo nel 2019, non rappresenta infatti direttamente l’orizzonte degli eventi, la superficie limite oltre la quale non esiste informazione accessibile, bensì la radiazione luminosa emessa dalla materia appena prima di essere inghiottita nel buio senza fine del buco nero.

Ma una nuova ricerca, appena pubblicata sul Monthly Notices della Royal Astronomical Society, promette grandi cose: è stato infatti scoperto un metodo per avvistare i buchi neri più massicci e voraci dell’Universo, che sfrutta l’incredibile luminosità di alcuni buchi neri.

Non tutti sono neri, come spiega Sabine Bellstedt dell’University of Western Australia: “esistono buchi neri di diverse dimensioni: i più grandi tra essi si trovano al centro della propria galassia, e stanno ancora crescendo”.

Questi buchi neri supermassicci hanno una massa che può arrivare a miliardi di volte quella del nostro Sole. Generalmente, quando pensiamo ai buchi neri il primo pensiero corre al “piccolo” buco nero al centro della nostra galassia, Sagittarius A; eppure si tratta di un buco nero particolarmente calmo, secondo alcuni scienziati “energeticamente quasi morto” (Geoffrey Bower, Academia Sinica Institute of Astronomy and Astrophysics, Hilo, Hawaii).

Me ce ne sono altri che sono un trilione di volte più luminosi del Sole, e possono aiutarci a scoprirne di nuovi.

Un nuovo metodo per scoprire i buchi neri

Quando i gas, le polveri e le stelle che gravitano nei pressi di un buco nero vengono inghiottiti dalla forza gravitazionale del buco nero, “raggiungono altissime temperature e diventano così incredibilmente luminosi” si legge nell’articolo di Bellstedt.

La luce emessa da questi “buchi neri luminosi” – che vengono chiamati anche AGN, Active Galactic Nuclei – può attraversare l’intero spettro elettromagnetico, dai raggi X alle onde radio.
I buchi neri luminosi possono apparire molto diversi tra loro, in base alla violenza con cui agiscono sulla materia circostante, alla composizione del materiale circostante, alle caratteristiche della galassia in cui si trova.

Osservandoli con diversi strumenti, quindi, possono sembrare agli occhi degli astronomi oggetti completamente diversi: “un astronomo con telescopio a raggi X potrebbe vederlo illuminarsi e scoprire un AGN, mentre altri con un radiotelescopio potrebbero non vedere nulla”.

Nella ricerca di Bellstedt si propone di usare, a riferimento, la “distribuzione spettrale di energia”, ovvero la luminosità relativa di una galassia rispetto a diverse sezioni dello spettro elettromagnetico. Questo dato può essere usato per misurare diverse informazioni, tra cui il numero di stelle presenti nella galassia, la loro età e la loro composizione.

Secondo il nuovo studio, la distribuzione spettrale di energia può essere usata anche per individuare i buchi neri luminosi: “ciò significa che ora possiamo misurare non soltanto le proprietà e la storia delle stelle di una galassia, ma anche la luminosità del suo buco nero centrale”, scrive Bellstedt.

Applicando il nuovo metodo, “sono stati identificati e quantificati oltre 75.000 AGN”: un passo importante verso la comprensione di come evolvono i buchi neri, che potrebbe aprire la strada a nuove importanti scoperte oltre la Via Lattea.

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