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Buchi neri, la teoria di Stephen Hawking: aveva previsto il futuro

La superficie d’azione dei buchi neri non diminuisce nel tempo. Una nuova analisi delle onde gravitazionali confermerebbe la scoperta del 2015.

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Confermata la teoria dei buchi neri di Stephen Hawking Fonte foto: Ansa

La superficie d’azione di un buco nero, dentro cui materia e radiazione vengono risucchiati, non può diminuire nel tempo. Questa è la teoria di Stephen Hawking che un nuovo studio del Mit ha appena confermato. L’analisi è stata condotta studiando le onde gravitazionali prodotte 1,3 miliardi di anni fa da due giganteschi buchi neri che si muovono a spirale uno intorno all’altro ed è stata pubblicata su Physical Review D. Resterebbe però un paradosso rispetto a un’altra teoria che invece prevede che, nel lungo termine, un buco nero si riduca fino a evaporare.

La teoria di Stephen Hawking sui buchi neri

Nel 1971 Hawking aveva teorizzato il teorema dell’area del buco nero che non diminuisce nel tempo dalla teoria della relatività generale di Einstein. Questa regola, per i fisici, sarebbe strettamente collegata alla seconda legge della termodinamica, che stabilisce che il tempo scorre in una direzione particolare, ossia che l’entropia, o disordine, di un sistema chiuso deve sempre aumentare. Dato che l’entropia di un buco nero è proporzionale alla sua superficie, entrambe devono costantemente crescere.

Il nuovo studio che conferma la teoria di Hawking

Secondo la nuova indagine, la conferma dei ricercatori della legge dell’area sembra implicare che le proprietà dei buchi neri siano indizi significativi delle leggi nascoste che governano l’universo. Stranamente, la legge dell’area sembra contraddire un altro dei teoremi provati dal famoso fisico: che i buchi neri dovrebbero evaporare su una scala temporale estremamente lunga. Il prossimo passo sarebbe quindi capire la fonte della contraddizione tra le due teorie, risultato che potrebbe rivelare una nuova fisica.

La superficie di un buco nero è definita da un confine sferico noto come orizzonte degli eventi: oltre questo punto nulla, nemmeno la luce, può sfuggire alla sua potente attrazione gravitazionale. Secondo l’interpretazione di Hawking della relatività generale, poiché la superficie di un buco nero aumenta con la sua massa e poiché nessun oggetto lanciato all’interno può uscire, la sua superficie non può diminuire. Ma la superficie di un buco nero si riduce se ruota, quindi i ricercatori si sono chiesti se sarebbe stato possibile lanciare un oggetto all’interno in maniera abbastanza forte da far ruotare il buco nero in modo da ridurne l’area.

Per testare questa teoria, i ricercatori hanno analizzato le onde gravitazionali, o increspature nel tessuto dello spazio-tempo, create 1,3 miliardi di anni fa da due grandi buchi neri mentre si avvicinavano a spirale ad alta velocità. Queste sono state le prime onde mai rilevate nel 2015 dall’Advanced Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO), un raggio laser diviso in due percorsi lunghi 4 chilometri (4 km) e in grado di rilevare le minime distorsioni nello spazio-tempo. Dividendo il segnale in due metà, prima e dopo la fusione dei buchi neri, i ricercatori hanno calcolato la massa e lo spin sia dei due buchi neri originali che di quelli combinati. Questi numeri, a loro volta, hanno permesso di calcolare l’area superficiale di ciascun buco nero prima e dopo la collisione.

La superficie del buco nero appena creato era maggiore di quella dei due iniziali, confermando al 95% la legge dell’area di Hawking. Secondo i ricercatori, i loro risultati sono praticamente in linea con ciò che si aspettavano di trovare. Il vero mistero resta cercare di integrare la relatività generale con la meccanica quantistica. Questo perché i buchi neri non possono ridursi secondo la relatività generale, ma possono secondo la meccanica quantistica. Dietro la legge sulla superficie il fisico britannico aveva anche sviluppato un concetto noto come radiazione di Hawking, in cui una nebbia di particelle viene emessa ai bordi dei buchi neri attraverso strani effetti quantistici. Questo fenomeno porta i buchi neri a ridursi e, alla fine, in un periodo di tempo molte volte più lungo dell’età dell’universo, ad evaporare. Questa evaporazione può avvenire in tempi abbastanza lunghi da non violare la legge sull’area a breve termine.

Intanto uno studio giapponese ha analizzato una tempesta di buchi neri che potrebbe essere in grado di spiegarci qualcosa sull’origine della galassia.

Stefania Bernardini