Sulla Terra sono arrivati i resti di un asteroide e finalmente sono a nostra disposizione
La NASA è riuscita ad aprire il contenitore con all'interno i preziosi detriti dell'asteroide Bennu: ecco perché sono così importanti
Il peggio è stato evitato, fortunatamente. La NASA era sull’orlo di una problematica decisamente seria. L’agenzia spaziale ha infatti impiegato tre mesi per riuscire ad aprire un barattolo molto prezioso.
Sembra un po’ la trama abbozzata di un episodio di una sitcom, ma non è così. Il barattolo in questione appartiene alla missione OSIRIS-REx. Al suo interno ci sono frammenti prelevati da un asteroide. Il suo viaggio fino a raggiungere la Terra è stato lungo miliardi di chilometri. Peccato che due elementi del coperchio si fossero incastrati e si corresse il rischio di veder fallire la missione. Le cose, fortunatamente, sono andate in maniera ben differente.
Il barattolo è aperto
Sono serviti quasi tre mesi di lavoro ai tecnici della NASA per riuscire ad aprire il contenitore prezioso proveniente dallo spazio. Fino a oggi ci si è limitati allo studio della polvere presente nella parte esterna.
Il vero tesoro, però, era ovviamente custodito all’interno. Campioni dell’asteroide Bennu, giunti sulla Terra sul finire dello scorso settembre, grazie alla missione OSIRIS-REx. I primi tentativi d’apertura erano stati fallimentari, a causa di due elementi del sofisticato sistema di chiusura.
È stato dunque necessario lo studio di nuove procedure, al fine di aprire il contenitore senza provocare danni. L’aspetto più importante, infatti, era riuscire a mantenere isolato il “barattolo”, così da evitare contaminazioni dall’esterno.
Per comprendere l’imponenza del viaggio compiuto dai resti dell’asteroide, basti pensare che il prelievo è avvenuto nel 2020. Il tutto grazie a un braccio robotico poggiatosi per pochi istanti sulla superficie dell’asteroide Bennu (braccio con all’estremità proprio TAGSAM, il contenitore che di recente è stato finalmente aperto).
Com’è stato aperto
Il sistema di prelievo azionato sull’asteroide Bennu era, neanche a dirlo, incredibilmente sofisticato. Si potrebbe pensare a una sorta di aspirapolvere. Alla base del TAGSAM è stata generata una specie di turbolenza, così da spingere i detriti a sollevarsi, per mezzo di un flusso di gas.
I detriti sono stati poi convogliati in una camera di raccolta, realizzata lungo la circonferenza del dispositivo. Il prelievo non aveva subito alcun intoppo. Tutto era andato anzi meglio del previsto. Così tanti detriti sono stati raccolti da andare a intasare una sezione dello strumento di raccolta.
Svolta questa prima e delicatissima parte, un braccio robotico ha posizionato con estrema cura il TAGSAM all’interno di una capsula. Proprio quest’ultima è quella che, al termine di un lungo viaggio, è giunta fino a noi. Gli scienziati della NASA hanno proceduto al recupero nel deserto dello Utah, negli Stati Uniti. In seguito è stata trasportata in Texas, ovviamente presso il Johnson Space Center di Houston.
Come detto, l’aspetto cruciale dell’operazione di apertura era dato dall’assoluto divieto di contaminazione. La capsula è stata aperta all’interno di una teca, mentre era sottoposta in questa fase a un flusso continuo di azoto, al fine di impedire l’ingresso di altre sostanze. Seguendo la procedura simulata più volte, si è proceduto poi a mettere le mani sul TAGSAM, caratterizzato da ben 35 elementi.
Di questi, però, due erano incastrati e non potevano in alcun modo essere rimossi. Il coperchio non è stato dunque sollevato per mesi, rendendo impossibile l’accesso al serbatoio, ovvero alla cassaforte contenente i pezzi di Bennu. Il processo sarebbe stato ovviamente più semplice e rapido, se i tecnici non avessero avuto a disposizione un numero estremamente limitato di attrezzi (testati per poter entrate in contatto con i detriti, senza distruggere l’intero operato).
Si è optato per dell’acciaio inossidabile, non magnetico. Come in una delicata operazione chirurgica a cuore aperto, a metà gennaio i tecnici NASA sono riusciti a sbloccare i due elementi. Ciò che hanno ottenuto sono 250 grammi di detriti dell’asteroide Bennu. Questi saranno distribuiti tra vari gruppi di ricerca in giro per il mondo. Si spera di poter così estendere le nostre conoscenze sui processi che portarono alla formazione del nostro Sistema solare.
Un esempio della rilevanza di tutto ciò è dato dai risultati ottenuti dai frammenti esterni alla capsula: vi sono stati identificati indizi di carbonio e acqua (alla base della vita come la conosciamo). Ciò andrebbe a confermare una teoria che vorrebbe proprio questi elementi, provenienti dallo spazio, a rendere possibili le prime forme di vita sulla Terra.