PMI E INDUSTRIA 4.0

Perché l'intelligenza artificiale è sotto stress e si rischia il black out

Perché l'intelligenza artificiale è sotto stress e si rischia il black out in molte comunità: come stanno reagendo le aziende e quali le conseguenze.

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Fonte: 123RF

L’intelligenza artificiale (AI) non è soltanto l’ultima frontiera dell’innovazione, ormai è la linfa vitale della competitività industriale, della sicurezza digitale e della trasformazione delle piccole e medie imprese (PMI). Tuttavia, un allarme arriva dalla società di risk intelligence Verisk Maplecroft: l’espansione accelerata dei data center per l’AI si sta scontrando con una realtà fisica e ambientale sempre più ostile. La minaccia? Il caldo estremo e la scarsità di risorse essenziali come acqua ed energia, senza le quali questi centri nevralgici della nuova economia rischiano l’arresto.

Perché l’intelligenza artificiale è sotto stress

La rivoluzione dell’intelligenza artificiale si fonda su una rete globale di data center che processano, archiviano e scambiano miliardi di dati ogni secondo. Questi impianti, per funzionare, hanno un bisogno costante di energia elettrica e sistemi di raffreddamento efficienti, spesso alimentati da grandi quantità d’acqua. Ecco dove il cambiamento climatico entra in gioco.

Secondo Verisk Maplecroft, già oggi il 56% dei principali hub mondiali di data center — tra cui Los Angeles, Dubai, Bangkok — affronta un aumento progressivo della domanda di raffreddamento ogni anno. In uno scenario in cui le emissioni globali non vengano contenute, e le temperature continuano a essere sopra la media rispetto ai livelli preindustriali, entro il 2040 ben due terzi dei data center mondiali potrebbero essere esposti a rischi “alti” o “molto alti”.

Tra il 2030 e il 2080, questi impianti potrebbero dover affrontare un +83% nei giorni critici, cioè quelli in cui è necessario attivare i sistemi di raffreddamento per evitare il surriscaldamento delle macchine. Un aumento che mette sotto pressione non solo le infrastrutture tecnologiche, ma anche le risorse territoriali, come l’acqua e la rete elettrica.

Rischio blackout e conflitti con le comunità locali

L’equazione è semplice ma impietosa, ovvero: più calore equivale a più energia richiesta per raffreddare le strutture, ma anche a maggiore probabilità di blackout e siccità. L’energia disponibile diventa instabile, la competizione per l’accesso all’acqua cresce e le comunità locali iniziano a opporsi alla presenza di colossi tecnologici percepiti come “consumatori predatori” di risorse comuni.

È già accaduto. Nel 2022, una ondata di calore ha provocato interruzioni operative nei data center londinesi di Google e Oracle. In California, lo stesso destino è toccato a una struttura legata alla piattaforma X (ex Twitter). E nel 2023, in Europa, una crisi energetica legata al raffreddamento delle centrali nucleari ha portato a blackout diffusi, con la domanda elettrica cresciuta del 14% in pochi giorni.

Come stanno reagendo le aziende

Alcune aziende per rispondere a questa crisi stanno sviluppando sistemi di raffreddamento alternativi, meno dipendenti dall’acqua o alimentati da energie rinnovabili. Altri stanno sperimentando l’uso dell’intelligenza artificiale stessa per ottimizzare i consumi energetici e ridurre le emissioni.

Il rischio di interruzioni nei data center non è un problema solo delle Big Tech. Le PMI sono sempre più dipendenti da servizi in cloud, piattaforme AI e strumenti digitali per gestire la logistica, le vendite, il marketing e i rapporti con la PA. Un fermo dei data center può significare interruzioni nei pagamenti elettronici, ritardi nelle consegne, disservizi nei software gestionali, blocchi nei processi produttivi automatizzati. In altri termini, un rischio sistemico per l’economia.

Inoltre, il costo dell’energia, già in crescita, potrebbe aumentare ulteriormente se l’infrastruttura elettrica dovesse subire nuovi shock. E questo si tradurrebbe in bollette più care anche per le imprese più piccole, rendendo difficile il percorso di transizione digitale per chi ha meno risorse da investire.

Serve quindi una strategia industriale coordinata, a livello nazionale e internazionale.

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