SCIENZA

Piante "luminose" contro la siccità: davvero potrebbero aiutarci a combattere la crisi climatica?

Grazie al processo di fotosintesi alcune piante possono aiutarci a prevedere i periodi di siccità: la scoperta apre interessanti scenari sulla lotta al cambiamento climatico

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Fonte: U.S. Department of Agriculture/Justin Pius

Se c’è una cosa che tendiamo sempre a sottovalutare è quanto il nostro pianeta sia generoso con il genere umano. Nonostante l’incuria e l’ingiustizia la Terra tende sempre a cercare, in qualche modo, di restituire tutto ciò che ci serve a sopravvivere e persino ad affrontare crisi di grande, grandissima portata. A dimostrarlo è una delle ultime scoperte scientifiche sulla correlazione tra ambiente naturale e siccità, che ci mette di fronte al fenomeno delle piante “luminose”.

No, non parliamo di piante che iniziano improvvisamente ad accendersi o a lampeggiare: la loro luminosità è più prettamente legata a un’analisi scientifica. Però, se interpretata nel modo giusto, questa traccia lucente può essere a dir poco salvifica perché può aiutarci a prevedere e addirittura a combattere i periodi più caldi.

Lo studio sulle piante

Ad accorgersi di uno speciale tipo di luminosità delle piante è stato un team guidato dagli scienziati del Jet Propulsion Laboratory della NASA, sito nel sud della California. Gli studiosi hanno usato un ragionamento sulla carta abbastanza semplice: quando le piante stanno per affrontare un periodo particolarmente caldo reagiscono in un modo specifico, legato alla fotosintesi. In sostanza, cominciano ad assorbire maggiormente la luce solare per convertire l’anidride carbonica in sostentamento, dovendo affrontare una graduale carenza d’acqua.

Assorbendo luce solare e anidride carbonica, la clorofilla “perde” alcuni fotoni inutilizzati e questi fotoni creano un debole bagliore (o fluorescenza), invisibile a occhio nudo. Partendo proprio dalla perdita dei fotoni, gli scienziati hanno fatto di tutto per catturare questo bagliore e ci sono riusciti utilizzando dati estratti da alcuni satelliti (in particolare l’Orbiting Carbon Obsevatory-2). Il risultato? Si sono resi conto che i modelli di fluorescenza che le piante presentano quando è in arrivo una siccità “classica” sono molto diversi da quelli che presentano prima dell’arrivo di siccità repentine e improvvise, ovvero legate al cambiamento climatico.

L’anidride carbonica e il bagliore

Le siccità “classiche”, d’altro canto,  si sviluppano e si evolvono nel corso di diverse stagioni,  mentre quelle anomale che stiamo purtroppo subendo e vivendo in questo periodo storico sono caratterizzate da una rapida essiccazione. Prima di un periodo di siccità, le piante sono naturalmente portate a consumare (o a cercare di consumare) quanta più anidride carbonica possibile per ovviare alla riduzione d’acqua e a fare la differenza è anche il tempo che hanno a disposizione.

Se l’arrivo di una siccità è rapido e imminente, la quantità di anidride carbonica che le piante cercheranno di immagazzinare sarà superiore, nel tentativo di sopperire alla disponibilità sempre più scarsa di risorse idriche, e concentrata in tempi molto brevi, portando a bagliori molto forti. Per averne certezza i ricercatori hanno confrontato anni di dati sulla fluorescenza, che hanno confermato questo comportamento e lo hanno anche correlato a periodi particolarmente segnati da perdite di umidità nel terreno.

Luminosità e cambiamento climatico

Secondo i ricercatori, il monitoraggio di questi bagliori potrebbe renderci in grado di prevedere anche le siccità più repentine, cosa che permetterebbe a molte aree particolarmente vessate dalle alte temperature di non farsi cogliere alla sprovvista. Ma non è tutto qui, perché sempre usando l’Orbiting Carbon Obsevatory-2 gli scienziati si sono anche accorti che alcuni livelli di luminosità sono collegati anche al fatto che le piante, prima della siccità, assorbono anche maggiori quantità di carbonio.

Quello che ne deriva è una sorta di bilanciamento naturale che può condurre a comprendere il ciclo del carbonio e ad avere idee più chiare su come riuscire a trasformarlo in energia rinnovabile. Naturalmente tutti gli studi sono ancora in corso di svolgimento, ma potrebbe essere una bella svolta: non resta che confidare in un futuro migliore.

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