SCIENZA

Il primo buco nero supermassiccio attivo mai visto potrebbe aiutare a risolvere un mistero

Gli scienziati stanno studiando il buco nero supermassiccio più distante mai scoperto: è grande quanto la galassia che lo contiene, ed è una fonte di preziosissime informazioni.

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Fonte: 123RF

I buchi neri sono corpi celesti di grandissima densità, il cui campo gravitazionale è così intenso che nulla può sfuggirgli, se si avvicina a sufficienza. Nonostante siano al centro di numerosi studi degli esperti, c’è ancora molto da scoprire su di loro: gli scienziati hanno appena scoperto il buco nero supermassiccio più distante mai osservato, e potrebbe rivelarsi utile per risolvere uno dei misteri più affascinanti dell’Universo.

Il buco nero supermassiccio più distante di sempre

Grazie alla collaborazione tra due degli strumenti più all’avanguardia della NASA, gli astronomi sono riusciti a scoprire un buco nero supermassiccio da record. Il telescopio spaziale James Webb ha per primo individuato la debole luce di una galassia primordiale, chiamata UHZ1. Ci è riuscito per una fortunata combinazione: la gravità del gigantesco ammasso di galassie Abell 2744, che è interposto tra la Terra e UHZ1, ha simulato una lente d’ingrandimento, amplificandone la luce. Webb ha così osservato la nuova galassia nello spettro dei raggi X, scoprendo che è ad una fase molto precoce del suo sviluppo.

Come in un viaggio nel tempo, la sua distanza da noi è tale che possiamo vederla come appariva 13,8 miliardi di anni fa, ovvero quando l’Universo era ancora giovanissimo (stiamo parlando di appena 470 milioni di anni dopo il Big Bang). A seguito di questa scoperta, l’Osservatorio a Raggi X Chandra ha osservato la galassia per due settimane, rilevando potenti raggi X provenienti da un disco di gas che vortica nel campo gravitazionale di un buco nero supermassiccio, il quale si trova al centro di UHZ1.

“Avevamo bisogno del telescopio James Webb per trovare questa galassia straordinariamente distante e di Chandra per trovare il suo buco nero supermassiccio. Abbiamo anche approfittato di una lente d’ingrandimento cosmica, che ha aumentato la quantità di luce rilevata” – ha affermato il dottor Akos Bogdan dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysicals, l’autore principale dello studio pubblicato su Nature Astronomy che descrive le osservazioni nello spettro dei raggi X del buco nero.

La prima particolarità saltata all’occhio degli esperti è la dimensione della galassia, soprattutto in rapporto a quella del suo buco nero supermassiccio. Quest’ultimo ha infatti una massa stimata in un valore compreso tra 10 e 100 milioni di volte quella del Sole, ovvero pari quasi interamente a quella di UHZ1. Generalmente, i buchi neri ospitati all’interno di una galassia hanno invece una massa pari allo 0,1% di quella totale della galassia stessa.

Come si sono formati i buchi neri supermassicci?

Siamo dunque davanti ad una galassia ancora nelle sue prime fasi di formazione, destinata probabilmente a crescere fondendosi con altre galassie o inglobando gigantesche nubi di gas intergalattiche. Il vero mistero è come mai il buco nero supermassiccio sia già così grande. Secondo gli scienziati, due sono le teorie che potrebbero spiegare l’origine dei buchi neri supermassicci. La prima riguarda la rapida fusione di buchi neri di massa stellare prodotti dall’esplosione di stelle. L’altra, invece, prevede che la nascita di un buco nero supermassiccio vada ricercata nel collasso di una nube di gas di massa compresa tra le 10mila e le 100mila volte quella del Sole.

Quello ospitato al centro di UHZ1 sarebbe un buco nero supermassiccio fuori misura, formatosi proprio dal collasso di una nube di gas. “Pensiamo che questo sia il primo rilevamento di un buco nero fuori misura, e la migliore prova finora ottenuta che alcuni buchi neri si formino da enormi nubi di gas. Per la prima volta, stiamo osservando la breve fase in cui un buco nero supermassiccio pesa quanto le stelle della sua galassia, prima di rimanere indietro” – ha affermato l’astrofisico teorico Priyamvada Natarajan dell’Università di Yale.

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