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Come vengono usati i robot umanoidi

I robot umanoidi sono macchine intelligenti con aspetto umano e sono sempre di più i progetti in merito: a cosa servono e come funzionano.

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Fonte: Shutterstock

Alcuni credono che siano solo i protagonisti di alcune delle pellicole di genere sci-fi più celebri, in realtà i robot umanoidi vivono in qualche modo già tra noi. E, accesi e funzionanti, compiono quotidianamente diversi tipi di azioni, anche non banali. Come il nome stesso suggerisce, per robot umanoide si intende una macchina dotata di una propria intelligenza artificiale che mostra sembianze simili a quelle dell’uomo. In alcuni casi anche molto simili, tanto da arrivare a parlare di androidi. Un ramo della robotica, quella umanoide, che si pone l’ambizioso compito di riprodurre il più fedelmente possibile le attività fisiche e cognitive della persona, andando addirittura a migliorarle ove possibile.

Di fatto, ci troviamo di fronte a macchinari plasmati a nostra immagine e somiglianza appartenenti ad una “popolazione” sempre più numerosa, con tutte le implicazioni tecniche, etiche e morali del caso. E che, in ultima analisi, sono in grado di portare a termine una vasta gamma di attività al posto dell’uomo in modo più o meno autonomo. Trattandosi di un campo tanto vasto e complesso, in questa guida cercheremo di spiegare nel modo più semplice possibile quali sono le differenze tra le varie tipologie di robot, esplorando la “natura” e le funzioni di robot antropomorfo, robot umanoide e androide.

Dal robot antropomorfo al robot umanoide

Prima di focalizzarci sul vero protagonista di questa nostra guida – sì, proprio l’affascinante e controverso robot umanoide – è bene chiarire quali sono le variabili che entrano in gioco per differenziare le diverse espressioni della robotica. Partendo, non a caso, dai robot antropomorfi. Questi sono delle macchine che hanno la capacità di imitare alcune delle abilità dell’uomo, come ad esempio la capacità di movimento o la percezione degli spazi che compongono e delimitano il mondo che ci circonda.

Al giorno d’oggi, nel più grande insieme della robotica antropomorfa rientrano tanto la robotica industriale quanto la robotica umanoide: nel primo scenario andiamo a riferirci a tutti quei robot che imitano capacità umane – pensiamo ad esempio ai bracci meccanici che riproducono il movimento e le abilità delle braccia e delle mani umane -, mentre nel secondo caso a quelli che hanno di fatto fattezze umane, e si compongono giocoforza di testa, busto, braccia e gambe.

E se è vero che i robot umanoidi si sono evoluti a ritmo impressionante solo in una manciata di anni, al momento si tende a identificare la robotica antropomorfa con la robotica industriale, in particolare con i bracci robotici  – conosciuti anche come bracci robotizzati -, che vengono impiegati all’interno delle aziende in sostituzione o in affiancamento agli uomini lungo tutto il ciclo della catena produttiva. Nel nome di una automazione industriale ormai a livelli neppure immaginabili fino a qualche decennio fa.

A fronte di un progresso tanto incisivo, oggi nella grande famiglia della robotica industriale stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante i robot collaborativi, conosciuti anche come cobot – dall’inglese collaborative robot. In questo caso specifico, si tratta sempre di robot industriali, ma di quelli che non hanno bisogno di essere programmati prima di essere inseriti nel ciclo di produzione, ma che di fatto vanno ad apprendere sul campo sfruttando una serie di sensori e di unità di calcolo e analisi. Di conseguenza, i bracci robotici sono dotati dell’abilità di memorizzare tutti i movimenti e le operazioni svolte da un operatore umano, poi successivamente replicate alla perfezione e con tempi sensibilmente ridotti.

In ogni caso, queste “creature” frutto della ricerca presentano differenze evidenti con il robot umanoide, definibile come una macchina autonoma dalle sembianze umane capace di interagire con l’ambiente circostante. Molto spesso il termine viene utilizzato come sinonimo di androide: all’atto pratico, però, la tendenza è quella di distinguerli utilizzando il termine robot umanoide per quegli automi che si ispirano all’uomo, ed il termine androide per quei robot che presentano sembianze umane e sono contemporaneamente dotati di sofisticati sistemi di intelligenza artificiale.

Come intuibile, allora, un androide è a tutti gli effetti un robot umanoide equipaggiato con una propria IA, che può essere più o meno avanzata. Un automa, insomma, a sua volta differente da quei futuristici cyborg che invece si propongono un essere umano “aumentato”, vale a dire un corpo biologico migliorato con svariati innesti artificiali. In ultima analisi, è importante chiarire che il termine androide viene utilizzato sia al maschile che al femminile, anche se è stato coniato il termine corrispettivo ginoide per descrivere una robot umanoide dalle sembianze femminili.

In tutti i casi, poi, questo tipo di macchine sono realizzate per percepire tramite sensori il mondo esterno, e rese praticamente “vive” con l’intelligenza artificiale. Reagiscono inoltre agli stimoli esterni per mezzo di attuatori, e cioè i muscoli a motore che permettono loro di muoversi proprio come facciamo noi nel nostro quotidiano.

Robot umanoidi: i casi più celebri

Di robot umanoidi si sente ormai parlare sempre più spesso. E tanti sono i casi “celebri” che hanno colorato le cronache, non solo di carattere squisitamente scientifico e strettamente tecnico. Tra questi, è impossibile non citare Asimo, apparso per la prima volta nel 2000 come undicesima evoluzione di prototipi precedenti messi a punto dalla Honda – che solo in seguito ha deciso di abbandonare il progetto. Le dimensioni del modello più evoluto, prodotto nel 2011, sono di 130 centimetri di altezza per 48 chili di peso, ed è capace di camminare senza sforzi a quasi 3 Km orari, correndo addirittura quasi a velocità tripla.

Impressionanti pure le performance dinamiche, considerando che Asimo può salire e scendere le scale, saltare su una gamba sola, muovere gli arti superiori e le cinque dita delle mani. Sul piano cognitivo, riesce pure a riconoscere l’ambiente circostante, a tenere sotto controllo e seguire gli oggetti in movimento, e a distinguere gli esseri umani, di cui è in grado di interpretare la postura del corpo e l’intonazione della voce.

Al fianco della macchina dedicata all’impareggiabile Isaac Asimov – scrittore fantascientifico padre del termine robotica – troviamo poi Pepper, definibile come un semi-umanoide. Questo robot, infatti, non presenta delle gambe, che sono state sostituite da delle più veloci ruote, e che sostengono una struttura complessiva di un metro e trenta di altezza per 28 chilogrammi di peso. Prodotto da Softbank Robotics, Pepper presenta sensori tattili alle estremità degli arti superiori, sonar, laser e giroscopio nella base per muoversi in modo ottimale nello spazio circostante.

Non mancano due videocamere sul volto e quattro microfoni, mentre sul petto è presente un tablet come interfaccia di interazione aggiuntiva. Il tutto per una macchina che viene comunemente definita come un “social robot”, considerando che la sua intelligenza artificiale standard prevede una evoluta capacità di interagire con gli esseri umani. Non è dunque un caso che possa essere avvistato in azione in vari luoghi pubblici, negli aeroporti o negli ospedali. A seguire, abbiamo il robot umanoide Reem C, di fabbricazione spagnola presso le laboriose fucine di Pal Laboratories. Allo stato attuale è giunto alla sua quarta evoluzione, dotata di un sistema di locomozione migliorato – passando da un “semplice” carrello a ruote a veri e propri arti umanoidi.

Non si distingue certo per la velocità di movimento – fissata a 1,5 chilometri orai -, ma la sua struttura da un metro e 65 per 80 Kg gli consente di sollevare e trasportare fino a 10 Kg di peso. Tra i progetti più interessanti, da segnalare vi è pure RoboThespian, sviluppato e distribuito dalla britannica Engineered Arts. Si tratta in particolare di un robot che sa recitare e tenere il palcoscenico grazie alla sua spiccata ironia, per altro dalla mimica facciale con un’espressività unica nel mondo dell’intelligenza artificiale.

A continuare questa nostra carrellata, un chiaro esempio di robot umanoidi italiani: iCub. Frutto del lavoro dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) con sede a Genova, è un robot di piccole dimensioni – si parla di 104 centimetri di altezza – che replica le fattezze di un bambino di cinque anni. Dalla pelle particolarmente sensibile perché ricoperta di numerosi sensori tattili, iCub è capace di gattonare, camminare, sedersi, manipolare delicatamente oggetti e addirittura di imparare a tirare con l’arco.

Tra robot receptionist, giornalisti e presentatori – solo per citarne alcuni -, il robot umanoide più rappresentativo di tutti, ancora oggi, rimane però Sophia. Robot umanoide con sembianze femminili – i cui tratti sono ispirati al viso dell’iconica Audrey Hepburn -, è stata attivata nel 2015 dai ricercatori della Hanson Robotics. Sophia riesce a parlare con le persone e ad avere un proprio senso dell’umorismo, a riprodurre ben 62 espressioni facciali e ad esprimere emozioni. Attorno alla sua figura si è aperta una accesa discussione quando, nell’ottobre del 2017, è stata presentata all’ONU e ha ottenuto la cittadinanza dall’Arabia Saudita diventando così il primo robot nella storia ad essere cittadino di uno Stato.

Con uno status diverso da quello di semplice oggetto. Ha addirittura partecipato con successo a svariate interviste: sentirla rispondere, interagire e ridere fa immaginare un mondo evoluto – e diverso da quello attuale in cui viviamo oggi – in cui esseri umani e robot umanoidi possono convivere in armonia.

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