SCIENZA

Nel Mediterraneo si sono ristrette le acciughe a causa del cambiamento climatico

Il fenomeno delle acciughe ristrette nel Mediterraneo è un campanello d'allarme per tutta la biodiversità marina e per l'economia legata alla pesca: cosa sta succedendo?

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Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi è un divertente film di fine anni ’80, invece quella di oggi è una preoccupante realtà. Nel cuore del Mediterraneo – considerato tra gli ecosistemi marini più ricchi al mondo – è sempre più evidente uno strano fenomeno: le acciughe si stanno riducendo di taglia, e non è un caso isolato.

Le cause sono collegate a un evento ormai palese e allarmante: il cambiamento climatico. Ne risentono anche tonni, sardine e l’intero equilibrio delle catene alimentari marine. Una delle chiavi di lettura di questa trasformazione è legata all’indebolimento dell’upwelling, un processo oceanografico fondamentale per il nutrimento della fauna pelagica.

Cosa sta succedendo alle acciughe nel Mediterraneo?

Negli ultimi anni, biologi marini e pescatori hanno segnalato un’anomalia crescente: le acciughe del Mediterraneo risultano sempre più piccole e meno numerose. La specie in questione, Engraulis encrasicolus, rappresenta una risorsa storicamente cruciale per la pesca italiana, specialmente nelle zone costiere della Sicilia, della Puglia e dell’Adriatico.

Il ridimensionamento non è solo una questione di taglia, ma di sopravvivenza. Le acciughe tendono a spostarsi verso il largo in cerca di acque più fresche e ricche di nutrienti, poiché lungo la costa stanno venendo meno le condizioni ambientali necessarie per il loro sviluppo.

Il ruolo dell’upwelling e la sua crisi climatica

Al centro di questa trasformazione c’è l’upwelling, un fenomeno naturale che porta in superficie acque profonde e fredde, cariche di nutrienti essenziali come il nitrato e il fosfato. Questi elementi alimentano il fitoplancton, base primaria della catena alimentare marina. Nel Mediterraneo, anche se in misura minore rispetto agli oceani, l’upwelling è fondamentale per sostenere specie fondamentali come acciughe, sardine e tonni.

A causa del riscaldamento del mare, però, le acque superficiali diventano più calde e meno dense, ostacolando il naturale rimescolamento verticale. Così si assiste a una stratificazione delle acque che limita la risalita di quelle profonde.

Gli esperti stimano che entro il 2050 il fenomeno dell’upwelling nel Mediterraneo potrebbe ridursi del 20%, con conseguenze a catena su tutta la fauna marina e sulle comunità costiere che vivono di pesca.

L’effetto domino sugli ecosistemi marini

La crisi dell’upwelling non colpisce solo le acciughe. La diminuzione dei nutrienti in superficie limita la sopravvivenza di altri pesci pelagici planctivori, compromettendo la biodiversità marina e la produttività dell’intero ecosistema.

Anche la pressione della pesca intensiva, detta overfishing, contribuisce a peggiorare il quadro: rimuovendo sistematicamente gli esemplari più grandi, si accelera la selezione verso individui di taglia ridotta.

Ma le conseguenze non si fermano qui. Il cambiamento climatico nel Mediterraneo sta favorendo anche l’arrivo di specie aliene, provenienti da acque tropicali o dal Mar Rosso, che competono con le specie autoctone per le risorse, alterano gli habitat e, in certi casi, danneggiano attrezzature da pesca o minacciano la salute umana.

Tra crisi ecologica e futuro sostenibile

Il Mediterraneo oggi è un osservatorio privilegiato per studiare gli effetti delle trasformazioni climatiche sugli ecosistemi marini. Le acciughe sempre più piccole sono solo il segnale più visibile di una trasformazione profonda che riguarda tutto il mare. Senza strategie di gestione adattiva, monitoraggi scientifici costanti e una forte sinergia tra pesca sostenibile e tutela ambientale, si rischia di compromettere in modo irreversibile un patrimonio naturale e culturale millenario.

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