SCIENZA

Crisi climatica, l'allarme delle Nazioni Unite: a cosa stiamo andando incontro?

Crisi climatica, l'allarme delle Nazioni Unite: i Paesi hanno promesso di ridurre le emissioni ma non lo fanno in modo adeguato e i progressi sono insufficienti

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Questa volta è un’autorità come le Nazioni Unite a rinfocolare le preoccupazioni globali sulla potente crisi climatica in corso.

Nonostante gli accordi tra i Paesi, le emissioni più inquinanti non accennano a diminuire: quali scenari si palesano?

Una crisi climatica inarrestabile

Un anno dopo l’impegno dei leader mondiali a ridurre l’uso dei combustibili fossili, i risultati sono deludenti. Secondo un recente rapporto delle Nazioni Unite, non solo le emissioni globali non sono diminuite, ma anzi, hanno raggiunto un nuovo record di 57 gigatonnellate di CO₂. Insomma, bisogna annotare che non ci saranno segni di miglioramento circa la crisi climatica per il decennio in corso.

Il ritardo nell’azione collettiva rende sempre meno probabile limitare il riscaldamento globale ai livelli stabiliti dall’Accordo di Parigi, che fissava l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 gradi Celsius rispetto all’era preindustriale, con il target preferenziale di 1,5 gradi Celsius.

L’Emissions Gap Report evidenzia come l’inerzia sulla questione continui a mettere a rischio il futuro del pianeta ogni anno che passa. Sebbene le fonti di energia rinnovabile, come eolico e solare, abbiano fatto notevoli progressi, il crescente fabbisogno energetico mondiale ha mantenuto alta la domanda di combustibili fossili.

Le tensioni geopolitiche tra grandi potenze, come Stati Uniti e Cina, e i conflitti in Ucraina e Medio Oriente, hanno reso ancora più difficili le collaborazioni internazionali necessarie per affrontare la crisi climatica. In parallelo, i paesi industrializzati non sono riusciti a mantenere le promesse finanziarie fatte alle nazioni in via di sviluppo, allo scopo di aiutarle a ridurre la loro dipendenza da petrolio, gas e carbone.

Durante il vertice sul clima tenutosi l’anno scorso a Dubai, i rappresentanti di quasi tutto il mondo hanno sottoscritto un accordo che sancisce la necessità di abbandonare progressivamente i combustibili fossili e intensificare gli sforzi per il clima entro il 2030. Tuttavia, il patto non ha fornito dettagli operativi su come raggiungere questi obiettivi, né ha chiarito i ruoli specifici dei singoli paesi. Questa vaghezza, insieme alla mancanza di azioni concrete, ha contribuito alla stagnazione delle politiche climatiche globali.

Tante promesse e pochi fatti: cosa ci attende?

Ad oggi, 151 Paesi hanno formalmente promesso di ridurre le proprie emissioni di gas serra entro il 2030, come previsto dall’Accordo di Parigi. Se tutti questi Paesi realizzassero i loro intenti, le emissioni globali potrebbero ridursi dal 3 all’11% entro fine dei prossimi dieci anni rispetto ai livelli attuali.

Tali stime, però, non bastano: per limitare il riscaldamento a 2 gradi Celsius, le emissioni dovrebbero calare di circa il 28% entro il 2030 e, addirittura, del 43% per restare entro 1,5 gradi Celsius. Una simile riduzione implicherebbe un cambiamento rapido e radicale dell’intero sistema energetico mondiale: è un traguardo poco realistico da raggiungere.

Durante quest’ultimo anno, solo il Madagascar ha annunciato un piano rafforzato di riduzione delle emissioni entro il 2030, nonostante le ripetute esortazioni delle Nazioni Unite affinché ogni paese aumenti i propri impegni. Ogni ritardo aggiunge difficoltà alla situazione, poiché le misure necessarie per mantenere il riscaldamento entro i limiti concordati diventano sempre più drastiche.

Nonostante ciò, il direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, Inger Andersen, ha ribadito l’importanza di perseguire ogni possibile strategia contro l’inquinamento. Anche se il mondo dovesse superare la soglia degli 1,5 gradi, ogni frazione di grado più alta evitata potrebbe rappresentare vite salvate, danni ridotti e una minore perdita di biodiversità.

Entro il 2025, gli Stati sarebbero tenuti a presentare nuovi obiettivi per ridurre le emissioni entro il 2035, anche se resta incerto quanto questi saranno ambiziosi e quanto effettivamente realizzabili. Una delle questioni centrali dei prossimi negoziati sul clima a Baku sarà proprio il finanziamento degli interventi.

Da tempo, i Paesi in via di sviluppo come l’India e l’Indonesia dichiarano di essere disposti a intensificare i loro sforzi di riduzione delle emissioni, a patto di ricevere un adeguato supporto economico dagli stati più ricchi. Il rapporto delle Nazioni Unite stima che, per azzerare le emissioni globali, sarebbero necessari investimenti addizionali da circa 900 miliardi a 1,2 trilioni di dollari l’anno. Pur trattandosi di una somma enorme, potrebbe comunque essere gestibile considerando il valore complessivo dell’economia e dei mercati finanziari globali, che supera i 110 trilioni di dollari.

La posta in gioco, quindi, è altissima. Senza un impegno più forte e coordinato, il mondo si avvia verso un aumento medio della temperatura globale di circa 2,6-2,8 gradi Celsius entro la fine del secolo, un valore che potrebbe innescare un’intensificazione di eventi estremi come ondate di caldo letali, incendi, siccità, tempeste e la scomparsa di numerose specie.

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