SCIENZA

La verità sulla morte della "donna urlante", la mummia ritrovata in Egitto

Finalmente la verità, parziale, sulla donna urlante ritrovata negli anni Trenta vicino Luxor: ecco cosa ha provocato la sua espressione di dolore

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Ritrovata negli anni Trenta in un’area poco distante da Luxor, la donna urlante è divenuta nel tempo una delle mummie egizie più famose al mondo. Per quasi un secolo sono state avanzate ipotesi e condotte analisi scientifiche, fino a raggiungere quella che oggi pare una risposta definitiva sui suoi ultimi istanti di vita.

Il mistero della mummia urlante

Un’espressione agghiacciante, che ha presa sullo stomaco di chiunque la osservi. Come restare impassibili, del resto, dinanzi alla perenne raffigurazione dello strazio di una donna in procinto di esalare il suo ultimo respiro.

Nuove indagini scientifiche evidenziano come non siano state le tecniche di imbalsamazione a trasformare il suo volto in una maschera di dolore. Il tutto, ben 3.500 anni fa, fu frutto di atroci spasmi, che a soli 48 anni la condussero alla morte.

Di fatto un team di scienziati ha lavorato alla realizzazione della sua “cartella medica”, per così dire. Al suo interno, però, non vi è traccia di una motivazione del decesso. Il mistero non può ancora dirsi concluso, dunque, ma di certo è in parte risolto. L’analisi è stata pubblicata sulla rivista Frontiers in Medicine e porta la firma della radiologa Sahar Saleem, dell’Università del Cairo, e dell’antropologa Samia El-Merghani, conservatrice delle mummie del ministro egiziano del Turismo e delle Antichità de Il Cairo.

La storia della mummia urlante

La mummia è conservata ad oggi presso il Museo egizio del Cairo. È stata ritrovata nel corso di una spedizione archeologica organizzata nel 1935. Quasi un secolo fa il Metropolitan Museum di New York spedì alcuni esperti presso il sito di Deir Elbahari, vicino Luxor.

All’interno di una camera funeraria, al di sotto della tomba di Senmut (architetto dei lavori reali e presunto amante della regina Hatschpepsut), venne scoperto un sarcofago in legno. Il corpo di donna rinvenuto all’interno venne ovviamente ritenuto di estrema curiosità e rilevanza, tenendo conto della sua espressione.

Una questione che sollevò un acceso dibattito nel mondo degli archeologi. Parte di essi era certa che fosse un disperato dolore frutto del processo di imbalsamazione, effettuato in maniera approssimativa. L’altra parte, invece, sosteneva che fosse frutto di un dolore fisico, connesso a uno stato di agonia.

Le ricercatrici egiziane hanno così tentato di risolvere l’annosa questione, dissezionando la mummia virtualmente. Hanno adoperato la Tac e cercato di risalire ai materiali sfruttati per l’imbalsamazione, attraverso differenti tecniche di analisi, dalla microscopia a scansione elettronica alla diffrazione a raggi X, fino alla spettroscopia.

Stando ai risultati, è evidente che la mummia sia ancora in buone condizioni di conservazione. La donna è alta un metro a 54 centimetri e aveva 48 anni al momento della morte. Aveva già perso molti denti e soffriva di artrosi alla colonna vertebrale. Sul corpo non sono stati rinvenuti dei segni di incisione connessi all’imbalsamazione. Non sono infatti stati rimossi gli organi interni, dal cervello ai polmoni, dai reni al fegato. In totale contrasto con i metodi in uso nel Nuovo Regno.

Le analisi condotte sulla pelle hanno dimostrato come fosse stata imbalsamata con ginepro e incenso. Materiali molto costosi, importati dal Mediterraneo orientale, dall’Africa orientale o dall’Arabia meridionale.

Anche i suoi capelli offrono degli indizi, essendo stati tinti con henné e ginepro. La sua lunga parrucca, invece, era stata realizzata con fibre di palma da datteri. Inoltre trattata con cristalli di quarzo, albite e magnetite.

Elementi che sembrano escludere che la donna possa essere stata sottoposta a un’imbalsamazione poco attenta: “L’espressione facciale potrebbe essere interpretata come uno spasmo cadaverico. – ha spiegato Saleem – Ciò implica che la donna morì urlando di agonia e dolore”.

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