SCIENZA

Le nanoplastiche sono la prima causa dell'inquinamento da plastica negli oceani

Situazione allarmante dopo l'individuazione di milioni di tonnellate di nanoplastiche negli oceani: di cosa si tratta e perché sono tanto pericolose anche per la nostra salute?

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Quando si parla di inquinamento da plastica negli oceani, la mente corre subito a isole di rifiuti galleggianti, tartarughe intrappolate nelle reti o bottiglie abbandonate sulle spiagge. Eppure, la parte più pericolosa di questa crisi ambientale è ciò che non possiamo vedere: le nanoplastiche, oggi considerate la prima causa di rischio per la salute degli ecosistemi marini.

Cosa sono davvero le nanoplastiche

Spesso confuse con le microplastiche, le nanoplastiche sono frammenti di plastica talmente infinitesimali da essere invisibili a occhio nudo: hanno un diametro inferiore a un micrometro, cioè mille volte più piccolo di un millimetro. Queste particelle minuscole non si limitano a galleggiare in superficie ma si disperdono negli strati oceanici, penetrando in ogni angolo del mondo sottomarino.

La differenza tra nanoplastiche e microplastiche non è solo una questione di dimensioni. A livello microscopico, infatti, le nanoplastiche possono attraversare le pareti cellulari degli organismi viventi, entrando direttamente nella catena alimentare marina. È così che una minaccia invisibile diventa parte di ciò che mangiamo.

Una stima inquietante: milioni di tonnellate negli oceani

Uno studio recente ha misurato la concentrazione di nanoplastiche negli oceani, svelando numeri impressionanti: solo nello strato superficiale dell’Atlantico settentrionale galleggiano circa 27 milioni di tonnellate di queste particelle. Le microplastiche, di cui tanto si parla, rappresentano solo la punta dell’iceberg rispetto a questa frazione quasi impercettibile ma devastante.

I ricercatori hanno individuato tre tipi principali: PET, PS e PVC, cioè plastica comunemente usata in imballaggi, contenitori e tubature. Il polietilene (PE), invece, sembra seguire percorsi diversi: probabilmente affonda rapidamente o si degrada chimicamente in modi ancora poco noti.

Perché dovremmo preoccuparci delle nanoplastiche

Le nanoplastiche non si limitano a inquinare le acque: sono in grado di infiltrarsi nel fitoplancton, alla base della catena alimentare marina. Da lì, salgono di livello fino ai pesci e, infine, arrivano sulle nostre tavole. Diversi studi hanno già trovato frammenti di plastica nei tessuti umani, dal cervello alla placenta.

Questo rende tali elementi non solo la prima causa dell’inquinamento da plastica negli oceani, ma anche una minaccia diretta per la salute di animali e persone. I danni potenziali comprendono effetti tossici sulle cellule e alterazioni degli ecosistemi marini già in difficoltà.

Come fermare questo inquinamento invisibile

Davanti a questa emergenza, scienziati e ambientalisti insistono su un messaggio chiaro: per fermare le nanoplastiche occorre ridurre la produzione globale di plastica. Ogni bottiglia, busta o imballaggio ha il potenziale di frammentarsi in miliardi di particelle microscopiche.

Proprio per questo, a livello internazionale si discute un trattato ONU sull’inquinamento da plastica che potrebbe imporre limiti severi. Un obiettivo ambizioso, ma necessario: chiudere il rubinetto prima che altre tonnellate di polimeri sintetici invisibili finiscano nei mari.

Un impegno collettivo per mari più puliti

In attesa di soluzioni globali, ciascuno di noi può fare la sua parte: ridurre il consumo di plastica monouso, preferire alternative riutilizzabili e sostenere iniziative di raccolta e riciclo. Solo così possiamo sperare di invertire la rotta e affrontare l’inquinamento plastico in tutte le sue forme, dalle bottiglie che si comprano al supermercato alle particelle di plastica invisibili che si annidano tra le onde.

Le nanoplastiche sono una sfida complessa, ma la scienza ci mostra anche la via per affrontarle: conoscenza, responsabilità e azione. Le minacce invisibili della plastica possono avere effetti ben più gravi di quanto si creda.

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