Da dove viene la coscienza? Ci sono nuove teorie che meritano attenzione
Dove ha sede la nostra coscienza? Uno studio pone a confronto due teorie cardine e traccia la strada per il futuro della ricerca
Da dove nasce la coscienza? Per decenni neuroscienziati e filosofi hanno tentato di offrire una risposta a tale domanda, tra le più affascinanti e rilevanti.
In che modo è possibile definire esattamente la coscienza e da dove ha origine nel nostro cervello? Un nuovo studio, pubblicato su Nature, ha tentato di fare chiarezza, ponendo a confronto diretto le due teorie più accreditate nel campo: integrated information theory e global neuronal workspace theory.
Il confronto
Iniziamo col dire che nessuna delle due teorie ha ottenuto la “vittoria”. Ciò che è giunto da questo confronto, però, è l’apertura di una nuova strada, più rigorosa e collaborativa, per lo studio della coscienza.
Il progetto porta il nome di Cogitate Consortium. Le due teorie analizzate partono da presupposti molto differenti. La global neuronal workspace theory, da qui in poi indicata come GNWT, descrive la coscienza come un palcoscenico mentale.
Di fatto ogni stimolo sensoriale, come un suono ad esempio, viene “illuminato” nella mente dopo la sua “entrata in scena”. Ciò grazie all’attivazione di aree cerebrali come la corteccia prefrontale. Un percorso noto come “ignition”, da poter rilevare tramite tecniche di imaging cerebrale.
L’integrated information theory, da qui indicata come IIT, parte invece da una definizione decisamente più astratta di coscienza. Questa si basa sulla quantità e l’integrazione delle informazioni elaborate da un sistema. Stando a tale teoria, dunque, un sistema più è capace di integrare informazioni complesse, tanto più è cosciente.
Nel cervello umano ciò avverrebbe prevalentemente nella porzione posteriore, dove le connessioni neurali sono più dense e interconnesse.
L’esperimento
Al fine di mettere alla prova le due teorie, i ricercatori hanno coinvolto ben 12 laboratori indipendenti. Di fatto si tratta di strutture non affiliate ad alcuna scuola di pensiero.
Ne è nato uno studio che ha coinvolto 256 partecipanti. Un numero decisamente elevato per quelli che sono gli standard delle neuroscienze. Sono stati sottoposti a compiti visivi, che richiedevano attenzione cosciente, come ad esempio il riconoscimento di lettere ruotate e di volti.
Nel corso dei test, è stato osservato il cervello dei partecipanti, sfruttando tre differenti tecniche di neuroimaging. Si mirava a verificare se si attivassero le aree previste dalle due teorie, nell’esatto momento in cui lo stimolo veniva percepito consciamente.
Il risultato? Nessuna teoria è riuscita a centrare in pieno le previsioni. Le “accensioni” della corteccia frontale non si sono manifestate come previsto dalla GNWT. Per quanto riguarda la IIT, invece, non è stata evidenziata la sincronia prolungata tra reti neurali posteriori.
L’importanza clinica di una risposta
Di fatto, aumentano le domande dopo questo studio, ma al tempo stesso si tratta di un innegabile passo in avanti. Anil Seth, neuroscienziato e autore di un commento allo studio, ha sottolineato come un singolo esperimento riesca raramente a confutare una teoria in modo definitivo.
Il metodo sfruttato, noto come “collaborazione avversariale”, rappresenta però una svolta nel campo. Mettere a confronto diretto le previsioni di teorie concorrenti, sulla base di dati condivisi e verificabili, può infatti favorire un progresso reale.
Proseguire in questa ricerca è importante non soltanto in ambito teorico, è bene spiegarlo. Capire cosa accade nel cervello durante uno stato di coscienza è fondamentale anche in contesti clinici. Si pensi ai casi di:
- coma;
- anestesia profonda;
- diagnosi di stato vegetativo.
“Le decisioni su chi tenere in vita o meno possono dipendere dalla nostra capacità di rilevare segnali di coscienza residua”, ha dichiarato Robert Chis-Ciure, ricercatore dell’Università del Sussex. “Le conseguenze sono troppo grandi per ignorare il problema”.