SCIENZA

Sembrano cozze ma attenzione, se li vedi in mare non prenderli

Sono molluschi innocui, ma pescarli causerebbe un danno ambientale quasi irreparabile, con conseguenze su tutto l'ecosistema marino

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Fonte: 123RF

È arrivata l’estate, e con lei sono arrivate anche le giornate passate in spiaggia. Ci sono degli animali che dobbiamo conoscere, quando passiamo molto tempo al mare, per rispettarli e per non mettere in pericolo noi stessi e loro. Uno degli errori più comuni per occhi inesperti è quello di confondere cozze e datteri di mare.

Cosa sono i datteri di mare

Come le cozze, anche i datteri di mare sono molluschi: possono sembrare simili a prima vista, ma sia colore che dimensioni sono diversi. Hanno un guscio più lungo rispetto a quello delle cozze, e non sono neri ma marroncini. Il loro nome scientifico è Lithophaga lithophaga, letteralmente mangiatori di pietra: vivono infatti abbarbicati agli scogli o alle rocce che si trovano in acqua, ma ovviamente non si nutrono di sassi. La loro dieta è fatta di plancton, alghe e detriti biologici che si trovano in mare.

Vivono una vita lunga, rispetto ad altri animali di quelle dimensioni e di quel tipo: fino a 35 anni. Ma si tengono molto impegnati, perché continuano a crescere per tutta la loro vita. Impiegano infatti dai 15 ai 35 anni per raggiungere i cinque centimetri di lunghezza – a fronte di una lunghezza massima più o meno doppia.

Perché non li possiamo pescare

La raccolta e la pesca dei datteri di mare è severamente vietata dalla legge: recentemente un uomo è stato denunciato per danneggiamento aggravato e pesca illegale, perché era stato ripreso in video mentre martellava un pezzo di roccia proprio per estrarne datteri di mare, a Castellammare di Stabia. Non solo la legge italiana punisce questo comportamento, ma anche quella internazionale, con la Convenzione di Berna e quella di Barcellona, entrambe del 1982.

Ma da dove viene questo divieto? Il motivo sta nel danno ambientale causato all’ecosistema marino dalla pesca dei datteri di mare. Per prelevarli, infatti, bisogna staccare il pezzo di roccia, che poi va martellato o distrutto con seghe e trapani, perdendo così un pezzo di habitat e causando danni ecologici e alla biodiversità davvero importanti. Il dattero di mare, infatti, quando si attacca alla roccia secerne una sostanza acida, con cui scava un tunnel all’interno del sasso. Non sono quindi semplicemente attaccati alla roccia, ma si trovano incastonati dentro, in profondità. Catturarli sarebbe solo l’ennesimo colpo che diamo a nostri ecosistemi marini, già bistrattati dalla pesca intensiva e dall’inquinamento – a proposito, abbiamo appena scoperto un nuovo, e pericolosissimo, inquinante dei nostri oceani.

Per capire quale potrebbe essere il potenziale danno bisogna pensare in scala: se il comportamento dell’uomo sulla spiaggia di Castellammare ha fatto un danno minimo (anche se è giusto e corretto punirlo ai sensi della legge), sarebbe invece incredibilmente pericolosa una pesca intensiva e industriale, fatta con gli esplosivi. Verrebbero distrutti chilometri e chilometri, quintali e quintali di rocce e scogli, perdendo così un ecosistema e un habitat che non è casa solo dei datteri di mare, ma che fa parte dell’ecosistema marino – che è già messo in pericolo da molti comportamenti umani, tra cui anche l’inquinamento luminoso, a cui non pensiamo mai.

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