SCIENZA

Sostanze tossiche nell'acqua, ecco dove (e come) sono state individuate

È allarme per alcune sostanze tossiche individuate nell'acqua: ora gli scienziati hanno trovato il modo per distruggerle in poche ore.

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Fonte: 123RF

Da alcuni anni a questa parte, gli scienziati hanno lanciato l’allarme in merito alla presenza di sostanze tossiche nell’acqua: si tratta dei PFAS, termine con cui vengono individuati particolari composti chimici ampiamente utilizzati nell’industria già a partire dagli anni ’50. Vediamo dove sono state scoperte queste sostanze e perché sono pericolose.

PFAS: le sostanze tossiche che inquinano l’acqua

I PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche, ovvero dei composti chimici che vengono utilizzati in campo industriale per il loro potere impermeabilizzante. Trovano impiego, ad esempio, nella produzione di pelli e tessuti (che attraverso un particolare procedimento vengono resi impermeabili), ma anche di vernici, insetticidi, detersivi, cosmetici e prodotti per la cucina – sono usati per il rivestimento dei contenitori adatti al cibo e, soprattutto, per il rivestimento antiaderente delle padelle. A rendere queste sostanze così sfruttate in ambito produttivo è la loro capacità di resistere pressoché a qualsiasi tipo di degradazione naturale.

Ma questa caratteristica è anche quella che più preoccupa gli scienziati: non distruggendosi una volta immessi nell’ambiente, i PFAS si accumulano per tempi lunghissimi (tanto che vengono chiamati anche “inquinanti per sempre”). Finendo nelle acque, vanno ad inquinare i terreni e le coltivazioni, creando quindi problemi sia all’ambiente che agli animali – oltre ad essere un pericolo per la salute dell’uomo. È per questo che, negli ultimi anni, gli esperti hanno lanciato l’allarme. Come risolvere il problema dei PFAS nell’acqua?

PFAS, nuova scoperta per distruggerli

Individuati solo da qualche anno, grazie alla presenza di particolari filtri a carboni attivi, i PFAS sono difficili da debellare. Gli impianti di trattamento delle acque potabili non sono generalmente progettati per rimuoverli, e adattarli richiede un notevole spreco di risorse. Senza contare che questa soluzione sposterebbe solamente il problema: una volta eliminate dall’acqua, queste sostanze tossiche si accumulerebbero altrove e andrebbero pur distrutte in qualche modo, per evitare una contaminazione secondaria (quella dovuta allo stoccaggio dei rifiuti pericolosi).

Un nuovo studio ha fatto luce su un processo che potrebbe finalmente risolvere la questione. Nell’articolo pubblicato su Environmental Science & Technology, i ricercatori hanno spiegato come si può distruggere quasi totalmente i PFAS presenti nell’ambiente in poche ore (e con una manciata di ingredienti disponibili persino nelle nostre dispense). Il metodo più studiato prevede l’utilizzo del solfito, un elemento comunemente utilizzato come conservante nei cibi: mescolandolo ai PFAS e poi esponendo la miscela ottenuta ai raggi UV, è possibile distruggere i legami carbonio-fluoro delle sostanze tossiche rendendo così le loro molecole degradabili.

Gli scienziati hanno però scoperto che questo procedimento non è efficace con tutti i PFAS: quelli conosciuti come PFBS sono molto più resistenti. Quindi, alla miscela precedentemente ottenuta con il solfito, hanno aggiunto anche lo ioduro (un minerale presente nel comune sale da cucina). Esponendo questo mix di sostanze ai raggi ultravioletti, nel giro di poche ore non è rimasto che l’1% delle sostanze tossiche originariamente presenti nel campione. Ioduro e solfito collaborano insieme per rendere i PFAS più fragili e facilmente degradabili in un lasso di tempo brevissimo, offrendo così una soluzione ad un problema di salute pubblica che negli ultimi anni ha generato grande preoccupazione.

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