Alcuni pomodori stanno diventando tossici: come avviene la loro "regressione"
Il fenomeno dei pomodori delle Galápagos tossici: si tratterebbe di un caso di evoluzione inversa scaturito come difesa verso le condizioni ambientali. Cosa sappiamo?

Nelle remote isole Galápagos, sta accadendo qualcosa di sorprendente: i pomodori selvatici sembrano aver invertito la rotta dell’evoluzione, tornando a produrre sostanze chimiche amare e potenzialmente dannose per animali e insetti. Questo curioso fenomeno di evoluzione inversa dei pomodori è stato osservato da un team di scienziati dell’Università della California a Riverside, che ha analizzato la composizione chimica e genetica di questi ortaggi per capire come e perché siano tornati a difendersi come facevano milioni di anni fa.
Un viaggio indietro nel tempo tra le piante tossiche delle Galápagos
I pomodori tossici delle Galápagos non sono comuni: crescono spontaneamente in condizioni ambientali difficili, lontani da coltivazioni umane e pesticidi. Sulle isole occidentali dell’arcipelago, dove le piogge sono scarse e gli animali selvatici abbondano, alcune piante di pomodoro hanno iniziato a produrre nuovamente alcaloidi simili a quelli presenti in antiche varietà di melanzane selvatiche.
Gli alcaloidi sono composti chimici amari che le piante utilizzano come arma di difesa contro insetti, funghi e animali erbivori. Nei pomodori coltivati che portiamo in tavola ogni giorno, la quantità di queste sostanze è stata drasticamente ridotta dall’uomo, attraverso secoli di selezione, per rendere gli ortaggi più dolci e sicuri da mangiare. Ma nelle piante tossiche delle Galápagos, la natura sembra aver premuto il tasto “riavvolgi”.
Evoluzione inversa pomodori: mito o realtà?
Il concetto di evoluzione inversa è da tempo oggetto di dibattito tra i biologi. L’evoluzione, di solito, non torna indietro: le specie si adattano a nuove condizioni, ma raramente recuperano tratti perduti esattamente nello stesso modo. Nel caso dei pomodori delle Galápagos, però, i ricercatori hanno trovato prove solide.
Analizzando oltre trenta campioni raccolti tra le isole orientali e occidentali, hanno scoperto che solo quattro modifiche in una catena di amminoacidi all’interno di un singolo enzima sono sufficienti per far tornare gli alcaloidi a una forma più antica. È come se la pianta avesse recuperato una ricetta del passato per difendersi meglio in un ambiente ostile.
Perché i pomodori selvatici delle Galápagos sono tossici?
Ma cosa spinge questi pomodori a fare un salto all’indietro nel tempo? Secondo gli studiosi guidati dal biochimico Adam Jozwiak, l’ambiente gioca un ruolo cruciale. Sulle isole, dove la pressione di predatori e parassiti è maggiore, i pomodori selvatici devono trovare strategie efficaci per sopravvivere. Tornare a produrre sostanze chimiche tossiche è un modo per scoraggiare animali affamati e resistere a funghi e insetti voraci.
Il team ha pubblicato i risultati su Nature Communications, generando nuove domande sul futuro di queste specie vegetali. È possibile che, se le condizioni ambientali continueranno a cambiare, anche altre piante tornino a comportarsi come i loro lontani antenati? La risposta non è scontata, ma la genetica offre qualche indizio: modifiche minime possono risvegliare caratteristiche dormienti.
Pomodori delle Galápagos tossici: una lezione di adattamento
La scoperta dei pomodori delle Galápagos tossici ricorda che la natura non segue regole scritte nella pietra: le piante tossiche delle Galápagos dimostrano come l’evoluzione possa anche apparentemente regredire, se questo significa garantire la sopravvivenza in un ambiente ostile.
Anche se è improbabile che i pomodori delle Galápagos finiscano sulle nostre tavole, studiarli aiuta a comprendere meglio le dinamiche di adattamento delle specie vegetali e i meccanismi nascosti del DNA. Adesso che i cambiamenti climatici costringono piante e animali a nuove sfide, forse dovremmo aspettarci altri casi di “ritorno al passato”. E, chissà, forse un giorno potremmo trovare tracce di evoluzione inversa anche in altre specie, magari perfino nell’uomo, come ipotizza provocatoriamente lo stesso Jozwiak.