Scoperti in Veneto batteri killer di PFAS, perché si tratta di una buona notizia
In Veneto hanno scoperto dei batteri che "mangiano" i PFAS, una speranza per una soluzione naturale per bonificare l'ambiente dagli inquinanti eterni.

Il Veneto è stato per anni al centro di una grave crisi ambientale a causa della diffusa contaminazione da PFAS, noti come “inquinanti eterni”. Questi composti sintetici, estremamente stabili e resistenti alla degradazione, si sono infiltrati in acqua, suolo e persino nel sangue umano, con gravi rischi per la salute e una persistenza tale che il tempo di dimezzamento del PFOA (acido perfluoroottanoico) nel suolo è stimato in 92 anni.
Ma una nuova scoperta sembra offrire una speranza: hanno identificato, proprio nel suolo veneto, alcuni specifici ceppi batterici capaci di “mangiare” e scomporre questi inquinanti. Un’innovazione che rappresenta un passo fondamentale verso una soluzione sostenibile per un problema che sembrava insormontabile.
Cosa sappiamo dei batteri mangia-PFAS
La famiglia dei PFAS (Sostanze Alchilate Perfluorurate o Polifluorurate) comprende oltre 4.700 composti sintetici, caratterizzati da un legame carbonio-fluoro (C-F) robustissimo, caratteristica che li rende resistenti a calore, acqua e olio. Vengono utilizzati in prodotti come pentole antiaderenti, abbigliamento impermeabile e schiume antincendio, tanto per citarne alcuni.
La loro persistenza e la capacità di bioaccumularsi negli organismi li hanno resi “forever chemicals”. E no, non è affatto positivo. L’esposizione agli PFAS avviene principalmente tramite cibo e acqua contaminati e così si accumulano nel sangue, nel fegato e in altri organi. Pertanto sono associati a gravi problemi di salute: uno studio ha collegato i PFAS a oltre 3.800 decessi in Veneto in 34 anni.
Il Veneto ha subito una delle contaminazioni più gravi al mondo, perciò l’ultima scoperta rappresenta davvero una speranza. La si deve a un gruppo di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Piacenza, coordinato dal Professor Edoardo Puglisi, che è riuscito a isolare da suoli altamente contaminati, in particolare nelle province di Vicenza e Padova, circa 20 specie di batteri tra cui Micrococcus, Rhodanobacter, Pseudoxanthomonas e Achromobacter, facilmente coltivabili e non dannosi per l’uomo.
Sono stati definiti “killer” perché riescono a rompere il legame C-F e a usare i PFAS come unica fonte di carbonio per il loro metabolismo, capacità che è stata dimostrata in laboratorio. Il team di ricerca ha misurato efficienze di degradazione superiori al 30%, ma alcuni di questi batteri degradano anche i sottoprodotti, compiendo così una detossificazione più completa.
Il potenziale della biorimediazione
Questa nuova e importante scoperta apre alla cosiddetta biorimediazione, ovvero un approccio “green”, semplice e potenzialmente più economico per la bonifica dei suoli contaminati. La biorimediazione sfrutta processi biologici naturali, generando così un minore impatto sugli ecosistemi.
Le attuali tecnologie (filtri a carbone attivo, osmosi inversa, incenerimento, ossidazione chimica) spesso raccolgono o separano i PFAS anziché distruggerli, generando residui contaminati e decisamente costosi da smaltire, ma sono di per sé costose e ad alto consumo energetico. Si stima che la bonifica nell’Unione Europea potrebbe costare fino a 2.000 miliardi di euro in 20 anni.
Forse il futuro dei PFAS non è deciso, come pensavamo. L’idea adesso è di applicare questi batteri direttamente nei suoli e nelle falde acquifere contaminate, offrendo una soluzione che elimini questi composti sintetici permanentemente già alla fonte.Un cambio di paradigma fondamentale, che ci potrebbe consentire di interrompere il ciclo di contaminazione e smaltimento.