Lo studio di questo strano fossile ha rivelato qualcosa di inaspettato
A partire da alcuni strani fossili, un team di scienziati ha scoperto come datare con precisione i resti dei primi ominidi: una svolta per la storia evolutiva.
Uno strano fossile rinvenuto in Sud Africa potrebbe darci nuovi indizi sulla storia dell’evoluzione umana. È quel che emerge da un nuovo studio congiunto, condotto dagli antropologi dell’Università dell’Oregon e dell’Hunter College: l’età di un fossile è essenziale per determinare il contesto da cui provengono e, di conseguenza, anche le conclusioni degli scienziati. Dati più precisi ci consentono di avere un quadro più completo e coerente della storia evolutiva.
Riscrivere l’età dei fossili degli ominidi
Cosa c’entrano i fossili di denti di scimmia e l’evoluzione degli ominidi? Il nuovo studio, pubblicato negli Atti della National Academy of Sciences, stravolge completamente il modo di interpretare la storia evolutiva della nostra specie. Da sempre gli antropologi analizzano i resti rinvenuti in Sud Africa, dove si trova la più alta concentrazione di siti riconducibili ai più antichi ominidi vissuti sulla Terra, ma queste comparazioni hanno spesso creato confusione e non poche controversie. Metodi precedenti hanno rivelato che i fossili più antichi risalissero a circa 2,8 milioni di anni fa, ma con gli studi più recenti la prospettiva muta radicalmente: risalirebbero addirittura a 4 milioni di anni fa.
“L’età di queste cose è molto importante” – ha affermato Stephen Frost, professore di antropologia dell’Università dell’Oregon e co-autore del nuovo studio -. Il Sud Africa è stato il primo luogo in cui sono stati scoperti questi primissimi fossili umani. Ma a causa del modo in cui sono stati raccolti, molte delle prove sull’età di questi depositi sono state distrutte“. Il professor Frost fa riferimento a tecniche obsolete (oltre che pericolose), come l’utilizzo di dinamite che nel corso del tempo ha fatto sì che si perdessero testimonianze preziose e utili ai fini degli studi evolutivi.
Lo studio sui denti di scimmia fossili
Cosa è cambiato, dunque, nel nuovo studio? Gli scienziati si sono serviti di un approccio inedito, analizzando i denti del Theropithecus oswaldi per stimare le date dei siti fossili sudafricani. T. oswaldi è una specie di scimmia estinta da circa mezzo milione di anni e la conformazione delle fauci si è rivelata un importante metro di paragone per studiare l’età dei fossili di ominidi: dal momento che i denti di queste scimmie sono diventati sempre più grandi con il trascorrere del tempo, il team di ricerca ha potuto creare una vera e propria equazione matematica, unendo le misurazioni delle firme magnetiche e degli isotopi radioattivi nelle rocce. Perciò, calcolando e confrontando questi dati, hanno potuto stimare quando si siano formati sia i denti di scimmia che tutti i fossili adiacenti.
La scelta è ricaduta sulla scimmia T. oswaldi per una ragione ben precisa. I denti di questo antico animale si trovano integri e in abbondanza, proprio dove siano stati scoperti anche fossili di ominidi, perciò questo assicura agli studiosi prove certe e attendibili.
Il dottor Frost ha spiegato che le tecniche di comparazione usate in precedenza erano poco precise e che le stime ottenute erano decisamente approssimative. Come nel caso del Little Foot, uno dei primi scheletri umani completi mai portati alla luce: secondo gli studi precedenti si calcolava che avesse circa 3,67 milioni di anni, ma con il nuovo metodo dei denti di scimmia il team di ricerca ha stabilito che l’ominide fosse più giovane di almeno un milione di anni.