SCIENZA

Le balenottere del Mediterraneo stanno assumendo sostanze tossiche, l'allarme

Filtri UV, additivi plastici e anche metaboliti presenti nei farmaci e nelle droghe: le balenottere del Mediterraneo assumono sostanze tossiche molto pericolose

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Nel cuore del Mediterraneo, le balenottere comuni – una delle specie più maestose del mare aperto – stanno diventando inconsapevoli sentinelle dell’inquinamento marino. Tra farmaci, nicotina, additivi plastici e sostanze praticamente indistruttibili come i PFAS, questi cetacei accumulano un vero cocktail di sostanze tossiche nei loro tessuti. Un segnale preoccupante per la biodiversità e per la salute degli ecosistemi pelagici, spesso ritenuti lontani dalle nostre attività quotidiane.

Un mare di contaminanti nascosti

Gli scienziati dell’Università di Siena hanno recentemente acceso i riflettori su uno scenario inquietante: le balenottere del Mediterraneo presentano livelli di contaminazione simili, se non superiori, a quelli di specie che vivono vicino alle coste. Analizzando campioni di pelle prelevati in modo non invasivo, i ricercatori hanno scoperto tracce di almeno 21 molecole farmaceutiche tra cui paracetamolo e diclofenac – sostanze di uso comune che, dopo aver attraversato tubature e fiumi, finiscono inevitabilmente in mare.

Ma non è tutto: tra i contaminanti emergenti individuati ci sono filtri UV, usati nelle creme solari, e additivi plastici come i ftalati, insieme a residui di nicotina, segno evidente di come i prodotti di consumo quotidiano raggiungano anche le profondità del mare aperto. Questi risultati mostrano che l’inquinamento dei mari non è un’ipotesi astratta ma una realtà concreta.

Cetacei come specie sentinella

Le balenottere non sono le uniche vittime di questa esposizione invisibile. In altre zone del pianeta, come al largo di Rio de Janeiro, alcuni squali sono risultati positivi alla cocaina, a causa dei residui smaltiti nelle acque reflue. Anche nel nostro Paese, studi paralleli hanno rintracciato metaboliti di droghe – come le benzodiazepine – nelle cozze del Sud Italia.

Proprio per la loro posizione in cima alla catena alimentare e per la capacità di bioaccumulare sostanze tossiche, le balenottere comuni del Mediterraneo sono considerate specie sentinella. La loro salute riflette quella dell’intero ecosistema: se questi giganti del mare sono contaminati, significa che l’impatto dell’uomo raggiunge anche habitat apparentemente incontaminati.

Effetti tossici e rischi per la biodiversità

L’allarme lanciato dall’équipe guidata da Maria Cristina Fossi, docente di Ecotossicologia all’Università di Siena, non riguarda solo la presenza di contaminanti, ma anche i loro effetti tossici. Le analisi genetiche hanno evidenziato alterazioni nei processi endocrini, squilibri dell’omeostasi lipidica e infiammazioni che potrebbero compromettere la capacità riproduttiva delle balenottere.

In pratica, l’accumulo di sostanze tossiche nel Mediterraneo minaccia la sopravvivenza di una specie già classificata a rischio e spinge a riflettere sull’urgenza di politiche più efficaci per il monitoraggio e la riduzione dell’inquinamento marino.

Progetti per proteggere il mare aperto

Fortunatamente, non mancano iniziative per invertire questa rotta. Il progetto Plastic Busters MPAs e il National Biodiversity Future Center lavorano per monitorare e contenere la diffusione di contaminanti emergenti. Anche il programma Interreg Euro-Med MIRAMAR, coordinato proprio dall’Ateneo senese, punta a sperimentare soluzioni per ridurre l’impatto antropico e salvaguardare habitat sensibili come le praterie di fanerogame e le zone umide.

Ridurre la presenza di microplastiche, limitare l’uso di sostanze chimiche pericolose e migliorare la gestione delle acque reflue sono passi fondamentali per tutelare non solo le balenottere comuni del Mediterraneo, ma tutta la fauna marina. Se continueranno a diventare inconsapevoli custodi dei nostri rifiuti invisibili, l’allarme lanciato oggi rischia di trasformarsi in una condanna definitiva per la biodiversità dei nostri mari.

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