Ritrovati antichi oggetti che risalgono a civiltà scomparse: la scoperta
Nel nord della Spagna sono stati ritrovati utensili preistorici in osso di balena: risalgono a 20.000 anni fa e raccontano un legame antico tra uomo e mare

A volte la storia riaffiora in silenzio, nascosta sotto la polvere dei millenni: è successo nel nord della Spagna, lungo le coste del Golfo di Biscaglia, dove un gruppo di archeologi ha portato alla luce una serie di antichi oggetti sorprendenti e no, non si tratta di semplici reperti.
Sono utensili modellati con cura, risalenti a circa 20.000 anni fa, che raccontano la presenza di mani abili, ingegnose, e forse di una cultura che conosceva bene il mare. A prima vista sembravano punte da caccia o strumenti per la lavorazione quotidiana, poi però le analisi hanno svelato un dettaglio inaspettato: non erano fatti di ossa qualunque. La materia prima era qualcosa di maestoso, antico, marino. Erano ossa di balena.
Il ritrovamento degli utensili
La scoperta è il frutto di una lunga e attenta indagine archeologica, raccontata su Nature e condotta in grotte e ripari distribuiti tra il nord della Spagna e il sud-ovest della Francia. In tutto sono rinvenuti e poi analizzati 83 utensili lavorati e 90 frammenti di osso non lavorato, provenienti da 26 siti attribuiti alla cultura Magdaleniana, databile tra i 20.000 e i 14.000 anni fa. Questi strumenti, rinvenuti in contesti abitativi paleolitici, sono stati sottoposti a una certosina serie di approfondimenti che hanno permesso di risalire con precisione alla loro origine.
Grazie a tecniche avanzate come la spettrometria di massa, il radiocarbonio e l’analisi isotopica, è stato possibile identificare non solo la specie animale da cui provenivano le ossa, ma anche il periodo esatto in cui furono lavorate. I risultati hanno rivelato che almeno cinque grandi specie di balena (tra cui balenottere comuni, capodogli, balene grigie e balenottere azzurre) fornirono la materia prima per questi manufatti. Ciò li rende fra i più remoti esempi conosciuti di oggetti umani in osso di balena.
Le interazioni fra uomo e balena
Gli studiosi dell’Universitat Autònoma de Barcelona, che hanno condotto le ricerche, hanno voluto precisare tramite un comunicato stampa che il loro lavoro è importante per diverse ragioni. In primis, perché ad oggi ricostruire i primi contatti tra esseri umani e balene è complicato: i siti archeologici costieri, dove queste interazioni avvenivano, sono spesso andati perduti sotto l’erosione marina o sommersi dall’innalzamento del livello del mare.
Per questo ogni oggetto rinvenuto è prezioso: rappresenta una finestra aperta su un passato fragile, difficile da conservare. Poi, l’indagine è importante anche per tracciare la storia delle balene stesse, che in passato erano molto più presenti e abbondanti rispetto a oggi. Per i gruppi umani che vivevano lungo le coste, questi giganteschi mammiferi rappresentavano una risorsa fondamentale: fornivano carne, grasso, olio e, come mostra questa scoperta, anche ossa.
Non ci sono invece prove che i cacciatori del Paleolitico superiore andassero deliberatamente a caccia di balene in mare aperto: è più probabile che sfruttassero carcasse spiaggiate o balene alla deriva. Questo tipo di acquisizione “opportunistica” era l’unica davvero possibile, vista l’assenza di tecnologie per la navigazione e la caccia marina. Verosimilmente, alcune delle specie identificate nello studio si avvicinavano alla costa, probabilmente in modo stagionale. Altre, come il capodoglio o la balenottera azzurra, vivevano invece in acque più profonde e venivano probabilmente raccolte solo quando il mare le restituiva, morte.
Uno sguardo al passato
I manufatti in osso di balena ci raccontano molto più di una semplice abilità tecnica. Mostrano che, già 20.000 anni fa, le comunità costiere sapevano trarre risorse dal mare in modo sistematico, sfruttando carcasse di balene spiaggiate per ricavarne strumenti resistenti e funzionali. Le analisi chimiche rivelano anche informazioni sul comportamento degli animali: rispetto ai cetacei moderni, quelli paleolitici avevano abitudini alimentari leggermente diverse, segno di un ecosistema marino mutato nel tempo.
L’intensità di questo utilizzo, soprattutto tra i 17.500 e i 16.000 anni fa, suggerisce una fase di grande dinamismo culturale e scambi tra gruppi umani. Poi, improvvisamente, tutto si ferma. Le ragioni non sono certe: forse un cambiamento culturale, forse la scomparsa delle rotte di scambio, forse semplicemente l’oceano ha nascosto ciò che resta.