Perché il riccio di mare viola sta sparendo nel Mediterraneo: l'allarme
Il riccio di mare viola del Mediterraneo rischia di sparire dalle nostre acque: eccessivo sfruttamento e cambiamento climatico tra le cause

Il riccio di mare viola del Mediterraneo, conosciuto scientificamente come Paracentrotus lividus, è da tempo uno dei simboli delle coste italiane, soprattutto tra Sicilia e Puglia. Eppure, oggi questa specie è al centro di un serio allarme: le sue popolazioni sono in drastico calo e rischiano di sparire del tutto. Dietro a questa crisi s’intrecciano sovrasfruttamento, cambiamenti climatici e fragilità degli ecosistemi costieri. Perché il riccio di mare viola sta sparendo? E cosa possiamo fare per salvarlo?
Un simbolo del Mediterraneo a rischio
Non è solo una prelibatezza della cucina mediterranea: il riccio di mare viola del Mediterraneo svolge un ruolo essenziale per l’equilibrio delle praterie di alghe e per la biodiversità. Studi recenti sul riccio di mare Paracentrotus lividus hanno rivelato dati preoccupanti: lungo le coste di Sicilia e Puglia, la densità è scesa sotto lo 0,2 individui per metro quadrato, un livello mai registrato prima. Questo significa che le popolazioni naturali sono ormai ridotte ai minimi termini.
Il declino del riccio di mare in Italia non è un fenomeno improvviso: i ricercatori sottolineano che le prime avvisaglie risalgono a più di vent’anni fa, quando ondate di calore marine e pesca incontrollata hanno cominciato a colpire duramente questa specie.
Sovrasfruttamento e pesca intensiva: la prima minaccia
Il consumo del riccio di mare in campo gastronomico ha portato a un sovrasfruttamento della risorsa, soprattutto in regioni dove la pesca artigianale è ancora un pilastro dell’economia locale. Ma se la raccolta diventa incontrollata, la specie non riesce a riprodursi a sufficienza. Così, la pesca del riccio di mare sostenibile rimane ancora una sfida aperta: i controlli spesso non bastano e la pressione dei mercati locali e turistici spinge i pescatori a non rispettare i periodi di fermo biologico.
Non a caso, esperti di gestione delle coste chiedono regole più chiare e sanzioni efficaci. Proteggere il riccio di mare in pericolo significa anche tutelare un’intera filiera gastronomica.
Il riscaldamento del mare e i cambiamenti climatici
Accanto alla pesca, un’altra causa mette in ginocchio questa specie: l’aumento della temperatura del mare. Il riscaldamento del Mar Mediterraneo, accentuato dai cambiamenti climatici, altera habitat delicati dove il riccio di mare viola cresce e si riproduce. Gli studiosi ricordano che dal 2003, anno di una storica ondata di calore europea, le popolazioni di ricci hanno cominciato a diminuire senza più riprendersi.
Temperature troppo elevate favoriscono la diffusione di malattie marine e indeboliscono la capacità di adattamento della specie. Ecco perché oggi parlare di riccio di mare a rischio estinzione non è più un’esagerazione.
Monitoraggio e progetti per salvare il riccio di mare
Cosa fare per invertire la rotta? Diverse università italiane, come l’Università del Salento e quella di Palermo, stanno coordinando progetti di tutela come MUrFor, un piano europeo per una pesca del riccio di mare sostenibile e la conservazione delle foreste marine. La priorità è monitorare costantemente le popolazioni e individuare zone protette dove il riccio di mare viola Mediterraneo possa riprodursi senza pressioni umane.
Secondo gli studiosi, servono anche politiche internazionali condivise: il Mar Mediterraneo è uno spazio di confine, dove gli sforzi di un singolo Stato non bastano. Proteggere il riccio di mare viola significa mantenere in equilibrio un ecosistema complesso e garantire un futuro anche ai piccoli pescatori che vivono di questa risorsa.
Il futuro di una specie simbolo
La scomparsa del riccio di mare dal Mediterraneo è un segnale d’allarme per tutta la biodiversità costiera. Continuando a ignorare il problema, si perderà un indicatore prezioso della salute dei nostri mari. Capire perché sparisce il riccio di mare è il primo passo per agire: la sfida è trovare un equilibrio tra sfruttamento responsabile e conservazione, prima che sia troppo tardi.