Dolcificanti artificiali, potrebbero danneggiarci in un modo che non immaginiamo: il nuovo studio
Utilizzatissimi negli alimenti e nelle bevande a zero calorie, i dolcificanti artificiali potrebbero avere un impatto negativo sul nostro ambiente e in particolare sulle acque
Da moltissimi anni esperti e non dibattono su quanto i dolcificanti artificiali siano o meno dannosi per il corpo umano. Da qualche tempo a questa parte, però, le indagini si stanno allargando. L’obiettivo? Cercare di dare forma a un quadro più ampio, che fotografa il loro impatto sull’ambiente.
Sì, perché la verità è che la composizione di questi edulcoranti, sintetizzati in laboratorio, contiene delle molecole che potrebbero avere conseguenze più radicali di quanto si potesse supporre al momento della loro scoperta e del loro esordio sul mercato. E, nell’ottica di una più elevata sensibilizzazione alle tematiche ambientali, sembra giunto il momento di fare chiarezza.
L’analisi sul sucralosio
A (ri)accendere il dibattito sulle proprietà negative dei dolcificanti artificiali è stato uno studio pubblicato su Springer Link da un team di scienziati dell’Università della Florida. Composto da Tracey Schafer, Kendall Breland, Anna Beard e Todd Osborne e capeggiato dalla dottoressa Amelia Westmoreland, il team si è concentrato sul sucralosio, edulcorante presente in molti prodotti alimentari e in altrettante bevande a zero calorie.
La squadra della Westmorelandha selezionato il sucralosio perché diversi studi hanno dimostrato che il corpo umano non è in grado di scomporlo e perché è una di quelle sostanze che rimane estremamente stabile e persistente nell’acqua: non a caso, ne sono state trovate tracce nelle acque reflue e persino in ecosistemi marini o fluviali.
«Se noi non siamo in grado di scomporre il sucralosio – ha detto la ricercatrice Tracey Schafer – è chiaro che anche molti altri microrganismi non possano riuscire a farlo. È una molecola molto resistente che non si degrada facilmente. È per questo che ci siamo chiesti come sta influenzando l’ambiente e se è qualcosa che potrebbe avere un impatto sulle nostre comunità microbiche».
I risultati dello studio
Per avere dei risultati attendibili, il team della Westmoreland ha raccolto campioni di terreno e acqua sia da siti di acqua dolce che da siti d’acqua salmastra. In laboratorio, i campioni sono stati esposti a diverse concentrazioni di sucralosio e i ricercatori ne hanno misurato la fotosintesi e la respirazione microbica in due finestre temporali: ogni quattro-sei ore durante un singolo giorno e ogni 24 ore nel corso di cinque giorni.
Di fatto, la concentrazione di cianobatteri di acqua dolce è aumentata quando i campioni sono stati esposti al sucralosio, mentre la concentrazione di cianobatteri di acqua salmastra è aumentata per poi crollare quando è stata somministrata la dose. Ciò significa che questa molecola influisce effettivamente sul comportamento dei cianobatteri.
E non è tutto qui, perché dopo ulteriori approfondimenti i ricercatori hanno dimostrato che a essere alterato è il comportamento dei batteri fotosintetici acquatici e delle diatomee, alghe microscopiche che rappresentano oltre il 30% della produzione alimentare primaria nella catena alimentare marina.
I rischi e l’inquinamento
«Alla luce di quanto abbiamo scoperto – ha affermato Amelia Westmoreland – c’è il rischio che le comunità di acqua dolce confondano il sucralosio con un nutriente, con uno zucchero che possono usare come alimento, con effetti nocivi sul loro stato di salute e sulla loro vitalità: questa molecola, dunque, potrebbe potenzialmente minacciare un ecosistema naturalmente equilibrato».
«Per ciò che concerne i sistemi marini – continua la ricercatrice – le diatomee potrebbero scomparire». Lo studio, in ogni caso, è solo il primo passo per saperne di più: tutto il team, infatti, concorda sul fatto che siano necessarie ulteriori ricerche.