Le galassie appena nate appaiono più strane del previsto: dallo Spazio nuovi segnali
E se le galassie appena nate in origine avessero una strana forma a "banana"? È quanto ipotizza un nuovo e interessante studio, che lascia qualche perplessità.
Che aspetto hanno le galassie appena nate? Una domanda alla quale astrofisici e cosmologi avevano risposto finora con un’ipotesi data per (quasi) certa: avrebbero una forma sferica o a disco, quindi somiglierebbero a delle uova oppure a dei frisbee a seconda della prospettiva. Adesso un nuovo studio con un titolo che dice già tutto – Galaxies Going Bananas – mette in discussione tale ipotesi, suggerendo che le baby galassie sin dall’alba dei tempi avessero forme oblunghe. Come delle banane, appunto.
Galassie appena nate a forma di “banana”, il nuovo studio
La nuova conclusione (provvisoria, come tengono a sottolineare gli autori dello studio) è stata conseguenza di un’analisi approfondita di numerose immagini fornite dal Telescopio Spaziale James Webb che ritraggono circa 4.000 galassie appena nate, dall’origine dell’Universo a oggi.
Non è la prima volta che si ipotizza qualcosa di tanto insolito a proposito delle baby galassie, ma per la prima volta un team di esperti ha messo nero su bianco delle osservazioni che non lascerebbero spazio ad alcun dubbio. Come riporta il New York Times, a parlarne è stato uno degli autori principali dello studio Galaxies Going Bananas presto pubblicato sull’Astrophysical Journal, il ricercatore post-dottorato alla Columbia University, Viraj Pandya.
Pandya ha parlato di un “risultato sorprendente e inaspettato”, precisando però che l’ipotesi delle galassie appena nate a forma di banana, od oblunga più in generale, affonda le radici in uno studio precedente basato sulle osservazioni del Telescopio Hubble che avevano già suggerito che le baby galassie fossero a forma di “sottaceti” più che di sfera o disco.
In particolare il team di Pandya ha analizzato le immagini di migliaia di galassie – ottenute nell’ambito del progetto Cosmic Evolution Early Release Science (CEERS) – in una piccola regione nota come Extended Groth Strip, tra le costellazioni Orsa Maggiore e Boote. Studiando le forme tridimensionali ottenute mediante le proiezioni bidimensionali, il team è partito da un presupposto: se queste galassie primordiali fossero sfere o dischi orientati casualmente nello Spazio, dovrebbero occasionalmente mostrare ai telescopi le loro facce complete, apparendo rotonde e circolari. Eppure si osservano tante “banane” o “sigari”. “Appaiono costantemente molto lineari – ha spiegato Pandya – con alcune galassie che mostrano molteplici gruppi luminosi disposti come perle su una collana.
Quanto sappiamo davvero sull’origine delle galassie
Galassie oblunghe di questo tipo sono rare oggi, ma costituiscono circa l’80% delle galassie del campione CEERS, che risale a circa 500 milioni di anni dopo il Big Bang. Ma come è possibile tutto questo?
Secondo il nuovo studio, questa forma insolita sarebbe da attribuire unicamente a galassie molto antiche dal momento che “nell’Universo moderno le galassie hanno due forme fondamentali: nuvole rotondeggianti e informi chiamate ellittiche e dischi piatti e ragnatele come la nostra casa, la Via Lattea“. E se prima avevano forme oblunghe la ragione potrebbe ricercarsi nell’azione della materia oscura e delle sue proprietà.
Non è chiaro come, dal momento che si tratta di un elemento ignoto e misterioso sul quale sono aperte ancora mille domande, ma secondo la teoria attualmente sostenuta dalla comunità scientifica la materia oscura sia costituita da “nubi di particelle subatomiche esotiche lasciate dal Big Bang” che non emette alcuna radiazione elettromagnetica. Le simulazioni suggeriscono che la materia comune (ordinaria) si combina fino a formare stelle e galassie proprio grazie alla forza gravitazionale di queste “nubi”.
Il nuovo studio del team di Pandya ribalta l’ipotesi più accreditata sull’origine delle galassie, o almeno sulla loro forma primordiale, ma c’è chi si dice ancora scettico: “Conservo un certo scetticismo riguardo a questo risultato, data la difficoltà di effettuare tale misurazione. Soprattutto per le galassie lontane, piccole e poco luminose”, ha affermato al New York Times il dottor Alan Dressler degli Osservatori Carnegie.