Libero
SCIENZA

Siamo arrivati nel cuore della "Regione Oscura" della Via Lattea: ecco cosa abbiamo scoperto

C'è una nube densa e oscura al centro della Via Lattea: si chiama The Brick e, ultimamente, gli scienziati hanno cercato di capire perché la sua attività stellare è così bassa. Ecco cosa sappiamo

Pubblicato:

Non tutti i misteri spaziali si trovano nelle zone più remote dell’Universo. Alcuni, infatti, sono a portata d’osservazione proprio tra le increspature e le zone d’ombra della Via Lattea, e no, la loro risoluzione non è di certo più semplice rispetto a enigmi collocati a lunghissima distanza. A dimostrare quanto possano essere complessi gli arcani della nostra galassia è una recente ricerca, che cerca di fare luce su una misteriosa "Regione Oscura", sulla quale si è a lungo dibattuto.

L’area spaziale in questione è stata, sin dalla sua scoperta, ribattezzata The Brick [Il Mattone n.d.r.], per via della sua forma e per via del fatto che essendo particolarmente densa sembra oscurare la porzione della nostra galassia in cui si trova, creando proprio un effetto "barriera" rispetto a zone più luminose. Su The Brick gli scienziati hanno a lungo discusso e soltanto oggi si torna a parlarne in maniera più attiva, grazie a una recentissima ricerca.

Le caratteristiche della "Regione Oscura" nella Via Lattea

Ma quali sono le caratteristiche di The Brick? E perché a lungo questa area della Via Lattea è stata così enigmatica? Per una questione puramente "fisica": il suo tasso di formazione stellare è davvero molto, molto basso. Anzi, per citare i moltissimi studi in materia, è inaspettatamente basso. Come mai? Perché essendo una nube piena di gas denso, The Brick dovrebbe essere, sulla carta, già "matura" per la nascita di tantissime nuove stelle.

Le stelle, infatti, si evolvono quando le nubi gassose sono corpose e ricche di vapori freddi. Riguardo a quest’ultimo "status", sono decenni che gli scienziati rilevano una significativa presenza di ghiacci stellari (formati da anidride carbonica) all’interno di The Brick e tutte queste informazioni, messe insieme, formano un quadro apparentemente più che favorevole per la comparsa di nuovi corpi celesti. Dunque, cosa c’è che non va?

Lo studio e le nuove ipotesi

A cercare di rispondere a questa insidiosa domanda è stato il professor Adam Ginsburg, che insieme a un variegato gruppo di ricerca dell’Università della Florida ha condotto uno studio dettagliatissimo, poi pubblicato sul The Astrophysical Journal. Ginsburg e la sua squadra hanno sfruttato le funzioni e le capacità di raccolta dati del James Webb Telescope con un obiettivo ambizioso: capire perché, nonostante la presenza di CO e CO2 (monossido di carbonio e anidride carbonica) The Brick non sia in grado di portare alla luce nuove stelle.

Ciò che gli scienziati non si aspettavano è che la loro ricerca avrebbe messo alla prova l’intera conoscenza delle quantità reali di CO2 al centro della nostra galassia e dei rapporti tra CO e CO2, gas e polveri spaziali. Quello che hanno scoperto, infatti, è che il gas all’interno di The Brick, nonostante tutto, è più caldo di nubi spaziali di grandezza e fattezze comparabili, a prescindere dalla presenza di ghiacci stellari. Ciò lascia intendere che questi ultimi potrebbero non avere un impatto decisivo sulla "temperatura" delle nubi come si è sempre pensato e, dunque, sulla formazione di stelle.

I prossimi passi

Alla luce di tutto questo, quali sono i programmi futuri? È presto detto: continuare a scoprire tutto il possibile su questa porzione di cielo per capire. Alla luce dei risultati ottenuti, infatti, Ginsburg e il suo team puntano a uno studio più ampio, dettagliato e approfondito dei ghiacci celesti, perché, come dice il professore, «non conosciamo, ad esempio, le quantità relative di CO, acqua, CO2 e molecole complesse, mentre con strumenti più all’avanguardia e per mezzo della spettroscopia possiamo misurarli e avere un’idea di come la chimica progredisce nel tempo in questa tipologia di nube densa».

L’obiettivo, dunque, è continuare sia a sfruttare i filtri avanzati di James Webb sia tutti gli strumenti che, mano a mano, si stanno evolvendo. Lo studio di The Brick, per altro, è tutto tranne che fine a sé stesso: secondo l’intero team dell’Università della Florida, infatti, sarà l’opportunità giusta per espandere ulteriormente le nostre competenze cosmiche e per avere ulteriori dati sulla fattibilità di eventuali esplorazioni.