SCIENZA

C'è di nuovo un problema con il granchio blu in Italia

Il granchio blu in Italia è stato colpito da un parassita che rende la sua carne e immangiabile, oltre a essere un potenziale rischio per la biodiversità

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Fonte: 123RF

Il granchio blu in Italia, noto per la sua capacità d’invadere i mari e creare danni all’ambiente e all’economia locale, si sta rivelando ancora più problematico di quanto si pensasse.

Recenti studi hanno evidenziato una nuova minaccia legata a un parassita che colpisce il crostaceo e compromette la qualità della sua carne, rendendola amara e poco appetibile.

Granchio blu in Italia: la sua carne diventa amara

Sebbene non rappresenti un rischio diretto per la salute umana, la diffusione del nuovo parassita che colpisce il granchio blu potrebbe avere ripercussioni significative sulle attività di pesca e sul mercato della specie stessa, che negli ultimi anni ha visto un aumento considerevole della sua presenza nelle acque italiane.

Il granchio blu, originario dell’America, è stato definito un “killer dei mari” per la sua invasività e la sua ingordigia. Da quando è arrivato nel Mar Adriatico, ha causato gravi danni agli allevamenti marini, in particolare a quelli di vongole, con conseguenti perdite economiche per i produttori locali. Tuttavia, da qualche tempo, il granchio blu è stato accolto nei mercati italiani grazie al suo sapore delicato e alle sue proprietà nutrizionali, ricco di vitamina B12 e proteine. La sua carne è diventata un ingrediente apprezzato in cucina, permettendo così di arginare, in parte, la sua proliferazione nei mari.

Adesso, però, il granchio blu deve affrontare una nuova sfida: un parassita appartenente al genere Hematodinium, responsabile della cosiddetta “Bitter Crab Disease”, o malattia del granchio amaro. Questo parassita agisce all’interno del corpo del crostaceo, provocando un abbassamento delle sue difese immunitarie e alterando la composizione della sua carne. Il risultato è un retrogusto amaro che rende la carne del granchio blu immangiabile dopo la cottura.

Sebbene il parassita non sia pericoloso per l’uomo, la patologia influisce negativamente sulla qualità del prodotto, creando disagi per i consumatori e danni economici per chi si occupa della pesca.

Biodiversità marina in pericolo

La scoperta è emersa grazie a uno studio condotto dal Centro specialistico ittico dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, finanziato dal ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste. Il progetto ha avuto l’obiettivo di monitorare lo stato di salute del granchio blu, concentrandosi soprattutto su eventuali patogeni che potessero influire sulla sua popolazione.

Durante l’analisi di 225 esemplari prelevati in diverse aree del Nord Adriatico, è stato riscontrato che l’infezione da Hematodinium è presente in una percentuale molto alta, arrivando addirittura al 97% nei granchi raccolti in Emilia-Romagna. Meno diffusa in altre regioni, come il Veneto (33%), l’infezione non è stata trovata nel Friuli Venezia Giulia.

Se consumato crudo o poco cotto il granchio blu può comportare rischi legati alla presenza di batteri come i vibrioni, che causano gastroenteriti acute. Di conseguenza, è fondamentale cuocere il granchio prima di consumarlo, per evitare potenziali pericoli.

Gli effetti di questa infezione sui granchi blu sono oggetto di ulteriori studi, che proseguiranno anche durante il 2025, allo scopo di valutare con maggiore precisione l’impatto di Hematodinium sulla specie. Il parassita ha la capacità d’infettare anche altre specie di crostacei, mettendo in pericolo la biodiversità marina e le risorse ittiche locali. Tuttavia, gli esperti non si aspettano che l’infezione si estenda rapidamente ad altre specie o che abbia ripercussioni devastanti sulla popolazione di granchio blu, almeno nel breve periodo.

Il problema, comunque, resta. Le autorità locali stanno già lavorando a un piano di gestione del fenomeno, con l’obiettivo di contrastare la diffusione del parassita e tutelare sia l’ecosistema che le attività economiche legate alla pesca.

Le prime misure riguardano l’educazione dei pescatori, che sono ormai in grado d’individuare i granchi colpiti dalla malattia e scartarli dalla vendita. Questo approccio, purtroppo, potrebbe non bastare a contenere la proliferazione del parassita, rendendo necessario un intervento più strutturato, che coinvolga sia la comunità scientifica che le istituzioni locali.

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