Scatta l'allerta per l'invasione di specie "aliene" nei mari italiani
I nostri mari sono presi d'assalto da specie aliene esotiche invasive: un dramma economico e sociale, che si aggiunge alla devastazione dell'inquinamento

Nel corso degli ultimi anni i mari italiani sono stati di fatto presi d’assalto da un centinaio di specie aliene invasive. Tutto ciò ha avuto un impatto evidente e grave sulla biodiversità ma, al tempo stesso, anche sulla salute ed economia dell’uomo. Una condizione aggravata ulteriormente da inquinamento marittimo, pesca sportiva, plastiche e infrastrutture industriali.
Specie aliene nei mari italiani
Un’analisi Coldiretti offre uno spaccato che evidenzia come un centinaio di differenti specie aliene, invasive, si siano diffuse nei nostri mari. Ecco gli esempi più noti:
- granchio blu;
- pesce palla maculato;
- triglia tropicale;
- pesce scorpione.
Alla base di questa trasformazione radicale, alla quale si fa fatica ad adattarsi, c’è il cambiamento climatico. “Il numero di specie esotiche terrestri e marine introdotte ogni anno nel nostro Paese è quintuplicato”.
Nel corso degli anni ’60 la media era di 6 e nell’ultimo decennio è oltre 30. Facendo riferimento ai dati Ispra, il granchio blu è il simbolo di tale fenomeno allarmante. Il danno stimato da Coldiretti Pesca è di quasi 200 milioni di euro. Una condizione d’allarme per l’attività di oltre 3mila aziende ittiche sul territorio.
Numerose le attività che hanno dovuto chiudere. Basti pensare che la produzione di vongole in Veneto ed Emilia Romagna è stata quasi del tutto spazzata via da quest’invasione. Stessa sorte è toccata agli allevamenti di cozze.
Si è stati costretti a difendere le produzioni con degli investimenti ad hoc, con reti e maglie adatte a proteggere gli impianti. Ciò però non ha bloccato l’assedio.
Richiesta d’aiuto
Le specie aliene nei nostri mari richiedono interventi rapidi e massicci. Fino a oggi le strategie per il contrasto della crisi degli stock ittici si sono concentrate quasi esclusivamente su un certo tipo di misure. Quelle atte a ridurre lo sforzo di pesca.
Si pensi al fermo biologico e alla restrizione delle attività e dell’utilizzo degli attrezzi. Si è poi passati al divieto della pesca a strascico (parte più produttiva del settore). Anche per questo la flotta italiana ha perso più del 20% delle imbarcazioni negli ultimi 20 anni.
Lo sguardo politico è andato altrove, mentre i fattori che danneggiano le risorse ittiche sono principalmente altri. Nei mari italiani, oggi, il cambiamento climatico è parte del problema ma non ne rappresenta la totalità.
L’inquinamento del trasporto marittimo è un elemento terribile, da non poter ignorare. Nel Mediterraneo operano 200.000 grandi imbarcazioni ogni singolo anno. Rappresentano il 20%, circa, di tutto il traffico marittimo globale.
A ciò si aggiungono le plastiche riversate in acqua dagli scarichi industriali e civili, così come dalla pesca sportiva-ricreativa (concorrente in alcuni ambiti a quella professionale). Spazio poi all’impronta inquinante di impianti eolici off-shore, che limitano l’attività di pesca e modificano gli ecosistemi marini.
C’è da salvare la Flotta Italia, divenuta sempre più sostenibile negli anni, a fronte di grandi investimenti. Soprattutto, però, c’è da salvare il nostro mare. Se per le mutazioni del clima possiamo agire oggi per una trasformazione futura, per quanto concerne l’inquinamento siamo in grado di garantire modifiche concrete nell’immediato. L’allarme non potrebbe suonare in maniera più rumorosa di così.