SCIENZA

Un grande mistero sui buchi neri è stato finalmente spiegato: la scoperta

I buchi neri sono caratterizzati da un mistero dopo l'altro, ma finalmente gli scienziati sembrano essere venuti a capo di uno di essi

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Quella del mistero è la migliore esperienza che possiamo avere. Albert Einstein amava ripetere questa massima, perfetta per descrivere i buchi neri. Non c’è fenomeno spaziale, infatti, che sia più intrigante di loro, oltre che caratterizzato dallo stesso numero di lati oscuri. Una delle perplessità sembra però essere stata finalmente spazzata via grazie a una intuizione degli scienziati.

I ricercatori hanno infatti approfondito le informazioni raccolte dall’IXPE (acronimo che identifica l’Imaging X-ray Polarimetry Explorer), l’osservatorio orbitante frutto della collaborazione tra Agenzia Spaziale Italiana e NASA. Nel caso di specie, ci si è focalizzati sui getti luminosi di quei corpi celesti che si trovano al centro delle galassie.

Come si comportano i buchi neri

Sono ben quattro decenni che questa luminosità sconcerta gli astronomi. Stavolta però si è capito che deriva dalle particelle subatomiche, dunque dagli elettroni energizzati dalle onde d’urto che tendono a muoversi a velocità supersoniche a parecchia distanza dai buchi neri. I ricercatori non hanno fatto altro che esaminare nel dettaglio un blazar, vale a dire un disco gigantesco di materiale attorno al buco nero stesso. Il loro interesse è stato destato dall’oggetto celeste presente al centro di Markarian 501, una galassia ellittica che si trova a circa 460 milioni di anni luce dalla Terra. Le conclusioni dello studio sono state sorprendenti.

Le particelle che si trovavano nel getto luminoso si sono eccitate subito dopo essere state colpite da un’onda d’urto poi propagatasi verso l’esterno. Allo stesso tempo, queste particelle sono in grado di emettere raggi X durante la loro accelerazione. Succede in tantissime altre situazioni, visto che nella maggior parte delle galassie è presente un buco nero di dimensioni ragguardevoli che va a creare un fitto disco composto da gas, polvere e detriti di stelle. Lo stesso materiale va poi a finire nel buco nero stesso e a quel punto l’energia gravitazionale che si sprigiona tende a trasformarsi in luce. Ecco perché i centri delle galassie si illuminano, diventando dei nuclei galattici attivi.

Buchi neri un po’ meno misteriosi

Come hanno avuto modo di sottolineare gli autori della ricerca, i raggi X notati nella galassia Markarian 501 non possono che provenire da elettroni ad altissima energia, di conseguenza uno dei tanti misteri sui buchi neri si è trasformato in una informazione più accessibile. Fortunatamente l’IXPE è dotato di strumenti che hanno permesso di andare oltre quanto già accertato in passato sui buchi neri. In particolare, questo osservatorio orbitante può misurare la polarizzazione della luce dei raggi X, vale a dire la distanza media e l’intensità del campo elettrico delle onde luminose.

Lo stesso IXPE è stato rivolto in direzione della galassia di cui si sta parlando per un totale di tre giorni lo scorso mese di marzo, poi l’operazione è stata ripetuta due settimane dopo. In realtà altri telescopi e dispositivi sono stati impiegati di recente per raccogliere informazioni sul blazer in questione, ma senza lo stesso successo dell’Imaging X-ray Polarimetry Explorer. L’indagine di NASA e Agenzia Spaziale Italiana comunque, non è stata pensata per approfondire le origini delle onde d’urto, un altro mistero che in futuro, magari proprio con l’osservatorio orbitante, potrebbe essere ugualmente svelato.

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