SCIENZA

Il nostro mare è come quello dei Caraibi, ma stavolta non è un buon segno

Le acque cristalline del Salento e della Sardegna sono simili a quelle dei paradisi tropicali, ma non sempre questo è un elemento positivo: ecco perché

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Sentiamo sempre dire che il nostro mare non ha niente da invidiare alle acque dei paradisi tropicali. In Sardegna, in Salento, a Tropea, nell’arcipelago toscano: colori e biodiversità sono spettacolari come quelli delle Maldive o di Bora Bora.

È sicuramente vero, così come è vera l’altra faccia della medaglia: anche per quanto riguarda la temperatura il nostro mare assomiglia a quello delle isole caraibiche, ma in questo caso non è un buon segno.

Il mare tropicale italiano

Il luglio di quest’anno ha battuto tutti i record: si ricorda una sola estate più calda, quella del 2003. Ma se dieci anni fa era stata una singola eccezione, quella del 2022 è solo il picco di una salita leggera e costante dell’ultimo decennio.

Ne hanno fatto le spese i nostri ghiacciai, che stanno scomparendo, e i nostri fiumi, che sono in secca. Ma anche i nostri mari, che sono sempre più caldi. Il sito web di previsioni metereologiche IlMeteo.it ha stimato che quest’anno la temperatura dei mari italiani ha raggiunto i 30°, e li ha mantenuti stabilmente per più giorni: come le acque caraibiche, e più calde di 10° rispetto a quelle della California. Tutta colpa dell’anticiclone nordafricano, che continua a espandersi verso il Mediterraneo – e non solo verso i suoi lembi meridionali, ma anche a Nord: uno dei mari in cui le temperature sono aumentare di più è quello ligure.

E come dicevamo prima, quest’aumento non ci è piombato addosso all’improvviso: l’Agenzia Europea dell’Ambiente ha dati che dimostrano che le acque italiane stanno subendo un processo di riscaldamento da almeno un secolo. Negli ultimi 20 anni, il Mar Mediterraneo ha registrato un aumento medio di 0,5° – con un picco quest’anno, con temperature superiori alla media di 4 o addirittura 5 gradi. Acque più calde delle nostre oggi ci sono solo nel Mar Rosso, nel Golfo Persico, nel Golfo del Bengala e nel Mar Cinese Meridionale – ma ovunque solo un paio di gradi di differenza.

Le conseguenze del riscaldamento dell’acqua

A mari più caldi corrisponde una maggiore energia contenuta nell’acqua, che potrebbe aumentare la forza delle perturbazioni atmosferiche o dei temporali marittimi: non a caso recentemente alcune città che si affacciano sul Mediterraneo sono state incluse nella lista di quelle a rischio tsunami.

Le acque calde sono quindi un vero e proprio serbatoio a cui attingono i temporali particolarmente violenti che nelle prossime settimane o all’inizio dell’autunno potrebbero causare alluvioni e allagamenti, soprattutto nelle città costiere – tra cui Venezia, che a un futuro sott’acqua si sta preparando.

Un’altra grave conseguenza del riscaldamento delle acque del Mediterraneo è il rischio di perdere flora e fauna autoctone, che non sono abituate ad acque così calde, e che verrebbero soppiantate da specie invece tipiche delle acque tropicali – ne abbiamo già trovate nei nostri mari: le meduse, innanzitutto, ma anche i pesci coniglio, responsabili del 40% del declino delle specie animali autoctone.

E il Mar Mediterraneo non è nemmeno l’unico che si sta scaldando: ancora l’Agenzia Europea dell’Ambiente spiega che negli ultimi dieci anni la temperatura del Nord Atlantico è aumentata di 0,2°C e quella del Mar Nero di 0,5°. Tra il 2000 e il 2019 il Baltico si è scaldato di oltre 0,5 gradi e il Mare del Nord di circa 0,4 gradi.

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