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Crisi climatica, scatta l’emergenza tsunami: ecco dove colpiranno nel Mediterraneo

Anche nel nostro piccolo mar Mediterrano arriveranno gli tsunami: secondo gli esperti non è più una remota possibilità, ma solo una questione di tempo

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Ci sono eventi naturali che abbiamo imparato a prevedere, e contro cui alcuni paesi del mondo si stanno attrezzando: in Giappone case ed edifici sono costruiti per resistere a ogni rischio sismico, per esempio. Alcuni stati costieri hanno dei rifugi ben segnalati, più in alto del terreno, in caso arrivasse uno tsunami.

Quest’ultimo, in particolare, è molto pericoloso, e richiede un livello di preparazione importante. Siamo sempre stati abituati a pensare che il nostro mare, il Mediterraneo, fosse tutto sommato immune da un evento così distruttivo. Ma non è più così.

Lo tsunami nel Mediterraneo

Negli Stati Uniti hanno già una data, seppur vaga: nei prossimi cinquant’anni The Big One, il grande terremoto, scuoterà tutta la costa ovest degli USA, causando tsunami alti fino a 30 metri. Lo sanno, e si stanno preparando, anche se non bene come dovrebbero.

Invece è notizia recente che anche il nostro piccolo e pacifico mar Mediterraneo, che copre solo l’1% delle acque oceaniche di tutto il mondo, potrebbe essere sconvolto da tsunami molto distruttivi: secondo l’Unesco è praticamente certo, e succederà entro il 2030.

La colpa di questo evento distruttivo non è della Terra, ma nostra. Lo tsunami che entro il 2030 colpirà le coste del mar Mediterraneo è dovuto al progressivo innalzamento del livello delle acque, che è conseguenza del riscaldamento climatico causato dalle emissioni generate dall’attività umana.

Il programma dell’Unesco

Non più quindi una remota possibilità, come prevedevano gli scienziati, ma una questione di tempo. E infatti alcune delle città costiere che affacciano sul Mediterraneo sono state incluse nel programma “Tsunami-ready”, “Pronte allo tsunami” proprio dell’Unesco: si tratta di Chipiona in Spagna, Marsiglia e Cannes in Francia, Istanbul in Turchia e Alessandria in Egitto. Nel programma ci sono già una quarantina di città in tutto il mondo.

Il programma prevede anche di creare alcuni centri d’allerta, che possano prevedere l’arrivo di uno tsunami e avvertire in tempo le autorità a terra. Serve a prevenire le conseguenze più gravi e ad affrontare nel modo migliore quello che non si può prevedere.

L’Unesco ha approfondito il suo lavoro di risposta agli tsunami dopo quelli del 26 dicembre 2004 nell’Oceano Indiano, il più letale della storia, con 230mila morti in quattordici paesi, e dell’11 marzo 2011 in Giappone, con onde alte 40 metri e 18mila morti nel paese. Da allora, il Centro di allerta tsunami nel Pacifico dell’Unesco ha risposto a 125 allerte, mediamente sette all’anno.

L’Unesco vorrebbe che entro il 2030 tutte le comunità che sono di fronte a un rischio comprovato siano in grado di rispondere. Per questo il programma “Tsunami-ready” metterà a disposizione mappe di evacuazione e segnali d’allarme 24 ore su 24 e condurrà esercitazioni con i cittadini. Spesso gli tsunami sono causati da terremoti sottomarini: in questo caso si hanno al massimo 20 minuti prima che la prima onda colpisca, e la seconda – più grave e disastrosa – arriva 40 minuti dopo la prima. Con il programma dell’Unesco gli allarmi arriveranno dieci minuti dopo il terremoto: e saranno messaggi su WhatsApp, alla radio, agli altoparlanti.

Esistono dei segnali che possano farci capire che sta per arrivare un terremoto, ma non possono essere applicati a quelli sottomarini al largo delle coste. Uno dei campanelli d’allarme in caso di tsunami è l’acqua che si ritira dalla spiaggia più della normale marea.

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