Come l'oceano mangia il carbonio: i segreti della "neve marina"
In che modo l'oceano digesisce il carbonio e non solo: ecco cos'è la neve marina
L’oceano vanta un vero e proprio sistema digestivo, se così vogliamo chiamarlo. Dagli escrementi alle carcasse di plancton, tutto va alla deriva verso gli abissi. Quando ciò accade, costantemente, le opzioni sono svariate, così come le variabili in causa. Ecco come funziona questo complesso sistema.
La digestione del carbonio
I pezzi che sprofondano, noti come neve marina, possono raggrupparsi o separarsi. A seconda dei casi, possono guadagnare o meno velocità. Le opzioni però non terminano qui, considerando come non sia da escludere la possibilità che, almeno parzialmente, vengono divorati da batteri.
Il tutto discende verso acque sempre più scure, non toccate dal Sole, trascinando carbonio al seguito e depositandosi sul fondo come biomassa. Restando in tema, gli oceani in tutto il mondo procedono ad assorbire miliardi di tonnellate di carbonio ogni singolo anno.
Parlando di quantitativi, però, molti ricercatori hanno espresso i propri ampi dubbi su quelle che sono le quantità di carbonio che effettivamente riescono a raggiungere i fondali marini, restandovi e ammassandosi.
Il tutto è sottoposto a una fase di attento studio e, analizzando le modalità con le quali il carbonio viene assorbito ed espulso nel “sistema digestivo” dell’oceano. Con l’aggiunta, poi, di tutte le altre possibili influenze subite nel processo.
Riuscire a misurare quello che è il tasso di stoccaggio del carbonio ha un valore molto importante. Si traduce infatti in un esame della composizione di tutto ciò che affonda negli oceani, il modo in cui eventualmente delle particelle si uniscono e si separano, aumentando la velocità del processo o diminuendola. Sono tanti elementi correlati di cui tener conto, come ad esempio gli effetti deceleranti del fitoplancton e le preferenze alimentari di particolari microbi.
Lo studio sul fondo marino
L’oceanografa Colleen Durkin, del Monterey Bay Aquarium Research Institute, si è così espressa in merito: “Non abbiamo un modo particolarmente valido, al momento, per collegare i processi in superficie con ciò che giunge sul fondo del mare. Sappiamo che sono collegati ma è difficile osservare quelli che sono i meccanismi che guidano tale connessione”.
In questo ambito risultano cruciali i progressi fatti nel campo dei sensori, nel sequenziamento del DNA e nella diagnostica delle immagini. Una mano tesa ai ricercatori, che possono così osservare più da vicino tanto gli organismi quanto i processi in corso.
Il coautore dello studio, Benjamin Van Mooy, ricercatore del Woods Hole Oceanographic Institution, ha isolato e analizzato i batteri presenti nella neve marina. Ciò ha portato alla scoperta di intere popolazioni di microbi specifiche, che preferiscono nutrirsi di fitoplancton. Il motivo? Contiene tipologie particolari di biomolecole di acidi grassi, i lipidi.
Questi rappresentano fino al 30% della materia organica particolata presente nella superficie degli oceani. Le preferenze dei batteri in una particolare regione sono dunque importanti. Incidono infatti direttamente sul quantitativo di biomassa contenente carbonio che riesce a raggiungere il fondale.
Gli scienziati stanno inoltre lavorando per riuscire a ottenere specifiche documentazioni relative a determinati luoghi e in vari periodi. Durkin e altri ricercatori stanno piazzando numerosi sensori arricchiti di telecamere autonome, al fine di osservare le particelle che affondano in un certo lasso temporale.