SCIENZA

Cosa sappiamo degli strani avvistamenti del telescopio spaziale James Webb

Strani oggetti nello Spazio individuati con il telescopio James Webb: gli scienziati formulano una nuova ipotesi per spiegare cosa sono i JuMBO

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Fonte: 123RF

Il dibattito all’interno della comunità scientifica, e non solo, sui recenti strani avvistamenti nello Spazio, detti JuMBO, è aperto e più che mai vivace.

Così spunta una nuova ipotesi che potrebbe essere utile a definirli meglio: di cosa si tratta? E, soprattutto, i JuMBO esistono davvero?

Nuova ipotesi sugli ultimi strani avvistamenti nello Spazio

A circa 1.350 anni luce dalla Terra, gli astronomi hanno scoperto coppie di oggetti inusuali all’interno della Nebulosa di Orione. Battezzati “JuMBO” (Jupiter Mass Binary Objects) per le loro dimensioni simili a quelle di Giove, hanno lasciato molti scienziati perplessi, aprendo a diverse ipotesi e teorie intorno alle quali si discute con vivacità.

Ciò che rende questi elementi particolarmente misteriosi è il fatto che appaiano insieme a due a due, un fenomeno raro e difficilmente spiegabile con le teorie attuali sulla formazione stellare e planetaria.

Inizialmente individuati grazie al potente telescopio spaziale James Webb, questi oggetti sembrano sfidare le attuali conoscenze. Gli astronomi Mark McCaughrean, del Max Planck Institute for Astronomy, e Samuel Pearson, dell’Agenzia Spaziale Europea, hanno individuato oltre 40 coppie di JuMBO nella Nebulosa di Orione, una regione ricca di polvere e gas cosmici, dove si prevede che centinaia di stelle si formino nei prossimi milioni di anni. La loro presenza suggerisce l’esistenza di un fenomeno finora sconosciuto, in cui oggetti di massa planetaria si sarebbero formati per poi essere allontanati dal loro sistema originale.

Secondo una teoria iniziale, i JuMBO sarebbero pianeti espulsi dalle loro stelle madri, finiti a gravitare intorno a un altro oggetto espulso. Tuttavia, data la loro massa ridotta, è improbabile che queste coppie riescano a mantenersi stabilmente in orbita l’una attorno all’altra, aspetto che ha portato gli scienziati a cercare altre possibili spiegazioni.

Di recente, una nuova ipotesi è stata avanzata dai ricercatori Jessica Diamond e Richard Parker dell’Università di Sheffield: essi ritengono che i JuMBO possano essersi originati come nuclei stellari, i quali, però, non hanno avuto l’opportunità di evolversi in vere stelle. A interromperne la crescita sarebbero state le gigantesche stelle OB presenti nella Nebulosa di Orione: fino a 40 volte più massive del Sole, emettono potenti venti di radiazione che disperdono gli strati esterni di gas e polvere degli oggetti più piccoli vicini in un processo noto come fotoerosione. In pratica le stelle OB, con la loro intensa radiazione, avrebbero impedito ai JuMBO di potenziare la propria massa.

Le varie teorie sui JuMBO

La teoria delle coppie di nuclei stellari, originati dallo stesso frammento di gas e polvere, risponde al perché molti JuMBO si presentino in coppia. Tali nuclei, una volta formati in maniera ravvicinata, avrebbero mantenuto la loro contiguità orbitale, pur non crescendo mai abbastanza per diventare stelle.

La proposta ha trovato appoggio tra alcuni ricercatori ma non tutti sono convinti dell’esistenza dei JuMBO. Alcuni scienziati, come Rosalba Perna della Stony Brook University, nutrono dubbi sull’effettiva presenza di questi oggetti. Per altri studiosi, i dati osservati potrebbero derivare da una semplice interpretazione errata: ad esempio, i JuMBO potrebbero essere in realtà nane brune, ossia oggetti che, pur avendo una massa superiore a quella dei pianeti, non riescono a innescare la fusione nucleare, come accade nelle stelle.

Alcuni ipotizzano che l’esposizione ai raggi cosmici possa aver interferito con la loro crescita, oppure che si tratti semplicemente di stelle di sfondo particolarmente luminose ed evidenti attraverso i gas della nebulosa, dando l’illusione di essere oggetti accoppiati.

L’astronomo Kevin Luhman della Pennsylvania State University, ad esempio, ha riesaminato i dati originali dei JuMBO e, identificando centinaia di potenziali nane brune nella nebulosa, ha trovato una sovrapposizione minima con i presunti JuMBO, suggerendo che le coppie potrebbero essere solo illusioni ottiche.

Nel frattempo, ricerche parallele in altre regioni di formazione stellare non hanno riscontrato alcun fenomeno simile. Ray Jayawardhana, della Johns Hopkins University, ha usato il telescopio Webb per osservare altre nebulose, senza individuare coppie simili di oggetti.

A fronte di questi risultati contrastanti, il numero stimato di JuMBO nella Nebulosa di Orione è stato recentemente ridotto da 42 a circa 20, ma alcuni scienziati restano fiduciosi sul fatto che almeno parte di essi possa essere reale.

Per tentare di confermare l’esistenza di questi elementi unici, il team di ricerca sta analizzando la luce proveniente dai presunti JuMBO al fine di rilevare tracce chimiche tipiche dei pianeti, come metano e acqua. La speranza è che questi dati spettroscopici possano fornire indizi decisivi sulla loro natura.

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