SCIENZA

Perché le tigri hanno il mantello a strisce: la scoperta

Come si formano le strisce delle tigri? Sembra incredibile ma la risposta potrebbe giungere da Alan Turing. Ecco le sue ipotesi al vaglio

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Qual è l’origine delle strisce delle tigri? Il loro mantello è magnifico e ipnotico e costituisce un mistero. Qualcosa che forse il genio di Alan Turing potrebbe aver svelato. Non è di certo ciò per cui è celebre nel mondo, certo, ma la sua matematica della natura merita attenzione.

La ricerca di Alan Turing

Il mondo ricorda Alan Turing per il suo ruolo cardine nella decifrazione dei codici nazisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Un’impresa che ha modificato radicalmente gli equilibri del conflitto.

Il suo genio non si esauriva però nella crittografia. Nel corso della sua purtroppo breve vita, pose le basi della moderna informatica, concependo inoltre l’omonimo test per la valutazione dell’intelligenza artificiale.

Tutto ciò rientra nella conoscenza comune di Turing, ma non tutti sanno che il suo contributo si spinse anche nel campo della biologia matematica. In particolare il riferimento va allo studio dei modelli naturali negli animali.

Turing si pose una particolare domanda: come si formano le strisce delle tigri o le macchie dei leopardi? Era certo che non si trattasse di pura casualità o di mere dinamiche biochimiche complesse. Andò così alla ricerca di una spiegazione, sfruttando dei modelli matematici.

In un tempo in cui le conoscenze genetiche e cellulari erano limitate, elaborò un sistema teorico in grado di descrivere l’origine di queste strutture.

Il modello matematico

Alan Turing immaginò l’esistenza di due molecole ipotetiche, denominate morfogeni. Queste si diffondono tra le cellule dell’embrione, interagendo tra loro. Una stimola la produzione dell’altra, mentre la seconda la inibisce.

Il cuore del modello risiede nelle equazioni differenziali. Uno strumento matematico che descrive l’evoluzione di quantità nello spazio e nel tempo. Turing le sfruttò per riuscire a simulare la diffusione dei due morfogeni, così come la loro interazione all’interno di un tessuto cellulare. A seconda dei parametri scelti, si potevano ottenere:

  • macchie;
  • strisce;
  • combinazioni delle due.

Turing fu in grado di risolvere le equazioni a mano, osservando come tendessero a comparire strisce su strutture allungate. Su superfici ampie, invece, si formavano macchie. Decenni dopo, il biologo matematico James Murray confermò che nei grandi felini, come le tigri ad esempio, la disposizione dei pigmenti risale a quando l’embrione è ancora molto piccolo.

La riscoperta del modello di Turing

Nel 1952 Alan Turing pubblicò il suo studio, ma la comunità scientifica venne attratta dalla contemporanea scoperta della struttura a doppia elica del DNA. Ciò vuol dire che il suo lavoro venne trascurato.

A partire dagli anni ’70, però, la biologia riscoprì la sua intuizione. Fu soltanto con l’avvento di nuove e avanzate tecnologie, nei primi anni Duemila, che si iniziarono a verificare sperimentalmente le sue teorie.

Lo studio dei topi ha dato dei primi risultati incoraggianti. Le due proteine sono risultate responsabili della formazione delle striature nel palato, così come dell’orientamento dei follicoli piliferi. Anche la colorazione dei pesci zebra sembra pare derivare da un variante del meccanismo di Turing, sulla base di tre morfogeni invece di due.

Per quanto riguarda le tigri, l’identificazione diretta dei morfogeni responsabili delle strisce è ancora in corso. A rendere il tutto così complesso è il semplice ostacolo fisico: non è semplice studiare questi animali in laboratorio. I segnali sono però promettenti e la teoria di Turing resta ad oggi tra i modelli più eleganti e influenti per la spiegazione di tale bellezza strutturale in natura.

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