SCIENZA

Un batterio si sta aggregando senza controllo negli oceani

Il batterio fertilizzante Trichodesmium ha un comportamento davvero singolare negli oceani, come approfondito da alcuni ricercatori svizzeri

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Almeno mille miliardi: non è facile calcolare quanti siano i batteri presenti sul nostro pianeta a causa della loro onnipresenza e delle difficoltà nello studio, ma il numero più attendibile potrebbe essere proprio questo. Nella miriade sconfinata, però, ce n’è sempre qualcuno che si fa notare per delle caratteristiche particolari e fuori dal comune.

L’esempio emblematico è quello del batterio fertilizzante Trichodesmium che si trova negli oceani. In base a quanto accertato da un gruppo di scienziati svizzeri, questo microrganismo è in grado di aggregarsi senza il bisogno di un controllo centrale. La ricerca si è focalizzata sugli individui in questione per via della loro importanza dal punto di vista ecologico e climatico.

Un batterio che fa crescere le alghe

Il tipico comportamento di questo batterio è presto detto: tende infatti a fissare l’azoto nell’oceano, formando una serie di aggregati che poi rispondono agli stimoli ambientali andando a modificare la loro forma. Questa strategia serve ad accedere in maniera ottimale alla luce ma anche ai nutrienti. Oltre a fornire azoto, favorisce la crescita delle alghe. Il microrganismo di cui si sta parlando crea delle vere e proprie fioriture di colore giallo o marrone che vanno poi a estendersi per migliaia e migliaia di chilometri quadrati: tra l’altro, sono visibili persino dallo Spazio.

Non a caso il batterio è celebre anche con un nomignolo particolare, vale a dire “segatura di mare”: è tipico dei mari tropicali e subtropicali, in cui riesce a fertilizzare le acque povere di nutrienti e dare cibo ad altri organismi marini. I ricercatori dell’Università di Zurigo hanno descritto il Trichodesmium e come sia capace di formare gli aggregati appena accennati tramite una strategia comportamentale semplice, ma efficace. I batteri sono stati coltivati in laboratorio, prima di capire che i filamenti avevano un diametro di dimensioni pari a 2 millimetri, visibili a occhio nudo e di gran lunga superiori rispetto a quelli del capello umano.

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La reazione del batterio agli stimoli luminosi

Gli aggregati del batterio hanno continuato a cambiare il loro aspetto nel corso della giornata. Secondo gli esperti elvetici, questo significa che l’aggregazione viene controllata da un processo attivo. Una volta entrati “in contatto” con la luce, gli aggregati si sono contratti, mentre al buio hanno subito un’espansione evidente. Al termine di ogni stimolo luminoso, poi, sono tornati pressoché alla loro struttura iniziale. Gli esperti sono convinti che in fondo all’oceano il batterio possa fare lo stesso, reagendo in base all’intensità della radiazione solare. Ci sono comunque alcuni aspetti importanti da precisare.

Anzitutto, la luce solare può contribuire a danneggiare le cellule, di conseguenza gli aggregati rischiano di contrarsi per ridurre la loro esposizione. In aggiunta, sempre i filamenti sono in grado di intrappolare un buon quantitativo di polvere costituita essenzialmente da ferro, sempre ai fini della fissazione dell’azoto. Infine, questi filamenti possono scivolare l’uno sull’altro, portando a dei movimenti ripetuti in direzioni opposte. Man mano che continuano a scivolare in direzioni opposte e ad allontanarsi, perdono la loro sovrapposizione l’uno con l’altro. L’analisi del comportamento del batterio è soltanto all’inizio e con tutta probabilità nei prossimi mesi ci saranno nuovi dettagli sulle sue caratteristiche.

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