La Spagna vuole diventare una potenza dei chip
Alla Spagna sono andate le briciole del "Chips Act" europeo, così l'esecutivo ha deciso di fare da solo: in arrivo 11 miliardi di euro da investire nelle fabbriche dei microchip
Nel 2020 sono stati fabbricati oltre 1.000 miliardi di microchip in tutto il mondo, che si traducono in circa 130 chip per ogni essere umano presente sul Pianeta. E proprio durante il biennio della Pandemia abbiamo scoperto la nostra dipendenza da alcuni Paesi, come la Cina, per alimentare il fabbisogno di chip che ormai sono presenti in tutti i settori. Dall’industria automobilistica (che per prima ha risentito della mancanza di semiconduttori) all’industria dei device elettronici come gli smartphone. Per ovviare a questa assenza di fabbriche produttrici di chip nel Vecchio continente, l’Europa ha disposto con il “Chips Act“, un ponderoso finanziamento di 43 miliardi di Euro fino al 2030 che vede coinvolta anche Intel.
Ma alcuni stati membri vogliono cogliere maggiormente questa opportunità e la Spagna ha appena annunciato, attraverso la dichiarazione del Primo ministro Pedro Sanchez, che investirà di tasca sua altri 11 miliardi di euro in un piano che rilancerà l’industria dei semiconduttori e dei microchip. L’Ue produce appena il 10% della quota di mercato globale di chip. E la Spagna non intende lasciarsi sfuggire la nuova opportunità, dopo che è stato annunciato il finanziamento che la riguarderà (la costruzione del centro di supercomputing di Barcellona) in pratica le briciole. A spartirsi la parte più grossa della torta saranno Germania e Irlanda dove saranno presenti le fabbriche più all’avanguardia. Il nuovo piano di spesa sarà finanziato principalmente attraverso i fondi di soccorso per la pandemia dell’Unione europea (il famoso PNRR) a cui in Spagna si aggiunge il PERTE (Proyectos Estratégicos para la Recuperación y Transformación Económica) ossia progetto strategico per la ripresa e la trasformazione economica.
L’Europa dei chip non è uguale per tutti
Dall’anno scorso, i politici europei hanno iniziato a valutare la necessità di produrre sul suolo europeo entro la fine di questo decennio fino al 20% dei semiconduttori. E al progetto, com’è ovvio, vogliono prendere parte anche quei paesi che storicamente non sono mai stati altamente industrializzati come la Spagna.
Ma le politiche fiscali sono migliori in Germania e Irlanda, così come le infrastrutture di tipo industriale già presenti, nonché una logistica avanzata e non solo via terra. Non è affatto strano, quindi, che Intel e le altre Big dell’elettronica guardino a questi Paesi come al territorio ideale per impiantare nuove fabbriche di chip.
La corsa ai chip inizia in Spagna
La Spagna però non vuole restare indietro. E Pedro Sanchez ha ribadito che gli spagnoli non perderanno la corsa alla tecnologia più avanzata. Per questo, il presidente ha evidenziato l’ambizioso impegno a promuovere il PERTE, che cerca di attrarre investimenti nell’industria dei semiconduttori e relative nuove tecnologie, che saranno fondamentali per raggiungere la tanto attesa autonomia strategica a livello europeo .
Nell’ambito del Piano Recupero, Trasformazione e Resilienza che promuove partnership pubblico-privato, l’esecutivo spagnolo ha già promosso nove progetti strategici: veicoli elettrici, salute, energie rinnovabili, agroalimentare, economia delle nuove lingue, economia circolare, industria navale, aerospazio e digitalizzazione dell’acqua, con i quali auspica mobilitare 56.000 milioni di euro, di cui 19.000 da fondi europei. Inoltre ne ha annunciati altri due, quello dell’economia sociale della cura e, appunto, quello dei microchip.