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Neuralink: come sta andando il primo chip nel cervello di un uomo

Neuralink, primi inconvenienti per l’esperimento dell’azienda di Elon Musk. A che punto è la ricerca e come sta il paziente col chip impiantato nel cervello

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Fonte: metamorworks/Shutterstock

All’inizio del 2024 Neuralink, la società di proprietà di Elon Musk, ha confermato di aver impiantato con successo un chip all’interno del cervello di un paziente completamente paralizzato per consentirgli di utilizzare il PC con la “forza del pensiero“.

Il paziente in questione, Noland Arbaugh, è il primo essere umano a provare le potenzialità di questa tecnologia e, già pochi giorni dopo l’intervento, era in grado di muovere il cursore del mouse del suo MacBook Pro e di giocare ad alcuni dei suoi giochi preferiti.

Una rivoluzione che potrebbe regalare condizioni di vita migliori a tutte quelle persone affette da paralisi a seguito di incidenti o di altre malattie e che, almeno in parte, potranno tornare a svolgere le attività in totale autonomia.

A che punto è la tecnologia Neuralink

Noland Arbaugh ha confermato che subito dopo l’intervento ha potuto giocare in autonomia a Civilization e ha iniziato a prendere lezioni di giapponese e francese, controllando il mouse del PC con la mente. Le prime dichiarazioni hanno fatto subito ben sperare e, visto anche il suo entusiasmo, Neuralink ha iniziato ad attirare un numero sempre maggiore di attenzioni.

Poche settimane fa, però, qualcosa non è andato come doveva e, di punto in bianco, alcuni contatti collegati al cervello di Noland si sono staccati, limitando di molto il funzionamento dell’impianto.

Al momento, non è ancora chiaro cosa possa aver comportato (o cosa comporterà in futuro) questo inconveniente, certo è che perdere 64 connessioni (che avvengono tramite dei cavi estensibili) su un impianto di ben 1.024 collegamenti potrebbe rappresentare un grave rischio per la sicurezza del paziente.

Dalle prime informazioni, sembra che gli sviluppatori dietro il progetto siano riusciti a correggere la cosa, modificando l’algoritmo che governa l’impianto e, da una stima preliminare, il cervello di Noland non dovrebbe aver subito danni.

Anzi, dalle dichiarazioni rilasciate, sembra che dopo l’intervento dei tecnici il collegamento sia stato reso più sensibile ai segnali provenienti dalla rete neurale di Roland, registrando netti miglioramenti alle performance di utilizzo.

Nonostante queste dichiarazioni apparentemente ottimistiche, è lecito ipotizzare (o almeno così hanno fatto gli esperti in materia) che il cervello umano potrebbe non essere compatibile con connessioni del genere e potrebbe, dunque, rigettare l’impianto.

Le dichiarazioni di Neuralink

Nell’ultimo aggiornamento rilasciato, Neuralink ha dichiarato che non ci sarebbero state ripercussioni per il paziente e che la sua salute non sarebbe a rischio.

Il portavoce del progetto ha confermato anche che gli scienziati stanno monitorando costantemente lo stato di Noland e di aver prontamente comunicato alla Food and Drug Administration tutte le informazioni riguardo quest’ultimo incidente.

Tuttavia queste rassicurazioni provengono dalla società di Elon Musk e non dal diretto interessato del quale non si hanno informazioni.

Stando a quanto comunicato il paziente continua a contribuire alle sessioni di ricerca durante i giorni feriali, per un massimo di 8 ore al giorno.

Nei fine settimana può utilizzare liberamente Neuralink e dedicarsi alle proprie attività preferite come i videogiochi. Gli ultimi dati disponibili parlano di oltre 10 ore al giorno per un totale di 69 ore in una sola settimana, con 35 ore di test e ulteriori 34 ore di uso personale.

Sul report condiviso dall’azienda si legge che l’obiettivo attuale è quello di incrementare le prestazioni di controllo del cursore portandole allo stesso livello di quelle degli individui normodotati. Ulteriori aggiornamenti dovrebbe comprendere anche l’immissione di un testo.

Nei piani futuri di Neuralink, però, ci sarebbe la volontà di connettere il chip con il mondo fisico e consentire agli utenti di controllare braccia robotiche, sedie a rotelle e altre tecnologie che potrebbero dare una grande mano a queste persone nel ritrovare l’indipendenza perduta.

 

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