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Neuralink, col nuovo impianto si può controllare un braccio robotico

Neuralink, l’azienda di Elon Musk, ha sviluppato una nuova tecnologia per consentire agli utenti di muovere un braccio robotico solo con la forza del pensiero

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Neuralink-braccio-robot Fonte foto: aboutstock/Shutterstock

Elon Musk e la sua azienda Neuralink hanno compiuto un altro passo avanti verso il controllo della tecnologia con il pensiero: un paziente, paralizzato dalla vita in giù, è riuscito a muovere un braccio robotico semplicemente pensandoci, esattamente come avrebbe fatto per muovere il proprio arto.

Questo nuovo traguardo, rappresenta una tappa fondamentale nello sviluppo delle interfacce cervello-computer (Brain-Computer Interface, BCI) che in futuro potrebbe migliorare la vita di milioni di persone con disabilità in tutto il mondo.

Cosa sappiamo della nuova interfaccia Neuralink 

Come già visto sui precedenti test, l’impianto Neuralink (nome in codice N1) è composto da migliaia di minuscoli elettrodi inseriti direttamente nel cervello dei pazienti, che sono in grado di intercettare i segnali elettrici prodotti dai neuroni quando si pensa a un movimento da compiere.  I segnali raccolti vengono poi decodificati da un computer, che li traduce in comandi per controllare il braccio robotico.

Il primo a provare questa incredibile tecnologia è stato Noland Arbaugh, un ragazzo di trent’anni che, nel 2016, è rimasto coinvolto in un grave incidente che l’ha costretto all’immobilità.

Grazie a Neuralink, al soggetto è stato impiantato chirurgicamente un dispositivo miniaturizzato (e praticamente invisibile) che viene inserito proprio nella regione del cervello responsabile del movimento. Dopo l’intervento, riuscito senza problemi secondo le dichiarazioni di Elon Musk, Noland Arbaugh è stato in grado di controllare un braccio robotico con la mente, così come dimostra anche un video condiviso su X dove il paziente riesce a scrivere su una lavagna con un pennarello.

Le prossime mosse di Neuralink

Nonostante l’incredibile successo di questo ennesimo esperimento, lo sviluppo di questa tecnologia non è stato (e sicuramente non sarà) privo di ostacoli. I ricercatori impegnati nel progetto, infatti, hanno dovuto lavorare duramente per perfezionare l’algoritmo in grado di interpretare i segnali cerebrali e tradurli in azioni precise; i risultati, però, sono arrivati e sono davvero straordinari.

Come accade in questi casi, il prossimo passo è cercare di coinvolgere altri pazienti per testare ulteriormente questa tecnologia e raccogliere più dati possibile. L’obiettivo per il futuro è sviluppare impianti cerebrali sempre più sofisticati e, magari, meno invasivi, che possano aiutare le persone con disabilità a recuperare una maggiore autonomia e a migliorare la loro qualità di vita.

Le sfide da affrontare, però, sono molte e questa tecnologia, per quanto affascinante, solleva anche diverse questioni etiche, come ad esempio le conseguenze del collegamento del cervello umano a una macchina in termini di privacy e sicurezza dei pazienti.

Per questo motivo, gli sviluppatori si stanno impegnando affinché l’evoluzione di queste interfacce cervello-computer avvenga in modo responsabile e trasparente, garantendo la massima protezione dei diritti dei soggetti coinvolti.

Per ora, i risultati dei test sono davvero incoraggianti, tuttavia bisogna ricordare che si tratta ancora di una tecnologia in fase di sperimentazione e che, nonostante i benefici che potrebbe portare alle persone con disabilità, sono necessari ulteriori test e ulteriori ricerche per comprenderne pienamente le potenzialità e le implicazioni.

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