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Pezzotto: col nuovo decreto si rischia il carcere

Con un emendamento al DL Omnibus viene introdotta la responsabilità penale per ISP, VPN e DNS qualora non segnalino immediatamente il traffico illegale del calcio gratis in streaming

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Tira un’aria sempre più brutta per gli amanti del calcio in streaming gratis: all’interno del Decreto Legge Omnibus, infatti, la maggioranza di governo ha inserito (e approvato in Commissione Finanze al Senato e in Commissione Bilancio alla Camera) un emendamento che introduce per la prima volta una pena detentiva per alcuni soggetti, che consapevolmente ma indirettamente favoriscono il pezzotto.

Il DL Omnibus è in votazione oggi al Senato, con la fiducia, e poi passerà in votazione alla Camera entro l’8 ottobre, molto probabilmente di nuovo con la fiducia. Ciò vol dire non solo approvazione quasi certa del decreto, ma anche impossibilità di modificarlo e, quindi, di togliere l’emendamento sul carcere.

DL Omnibus: chi rischia il carcere

L’emendamento che introduce il carcere per il pezzotto prevede nuove responsabilità penali per i fornitori di servizi Internet e per i fornitori di due servizi specifici: le VPN e i DNS distribuiti.

Le VPN sono le ormai ben note Virtual Private Network, cioè le reti private virtuali usate soprattutto per rendere anonimi gli utenti e per simulare la connessione da altri Paesi, diversi dall’Italia.

I DNS distribuiti, invece, sono un servizio destinato a chi gestisce siti e risorse online. Grazie a questo servizio l’utente può trovare il sito o la risorsa semplicemente digitando il suo nome, anche se questa ha cambiato indirizzo IP. Poiché la piattaforma Piracy Shield non fa altro che bloccare gli indirizzi IP dei pirati, i quali subito dopo cambiano indirizzo e continuano a trasmettere, è chiaro che la gestione dei DNS si rivela un servizio essenziale per il pezzotto.

Con il nuovo emendamento i gestori di VPN e DNS distribuiti devono segnalare immediatamente alle Forze dell’Ordine eventuali flussi di dati dei pirati, se hanno la certezza che tali dati si riferiscano a contenuti trasmessi illegalmente. Se non lo fanno, allora rischiano fino a un anno di carcere.

Tutti contro l’emendamento

La reale applicabilità di questo emendamento è molto dubbia, perché bisognerebbe stabilire per legge, o per sentenza, quando ci sia la certezza che il traffico da bloccare sia illegale (in molti casi si tratta di traffico criptato). Tuttavia, c’è già stata una levata di scudi contro questo emendamento.

L’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP), che in passato aveva collaborato alla realizzazione di Piracy Shield e di tutta l’infrastruttura anti pezzotto, ora parla di “sconcerto” e di “iniziativa che tradisce due anni di impegno e leale collaborazione del settore“.

Contraria anche ASSTEL, l’associazione di categoria aderente a Confindustria che rappresenta la filiera delle telecomunicazioni. Secondo l’associazione, infatti, “responsabilizzare a livello penale gli operatori di telecomunicazioni non è utile a contrastare la pirateria“.

Altra voce contraria è quella di Assoprovider, associazione che rappresenta i piccoli e medi fornitori di servizi Internet in Italia e che in passato ha provato a bloccare per via giudiziaria Piracy Shield. Per Giovanbattista Frontera, presidente di Assoprovider, si tratta di una “misura draconiana e sproporzionata” che “non solo mette a repentaglio la libertà personale degli operatori del settore, ma rischia di paralizzare l’intero sistema delle telecomunicazioni in Italia“.

Secondo Assoprovider, infatti, gli Internet Service Provider non hanno la capacità né le competenze per determinare quale traffico è penalmente rilevante. La nuova normativa sovraccaricherebbe il sistema giudiziario e avrebbe un impatto negativo sulla concorrenza, perché i piccoli provider sono meno attrezzati dei grandi a gestire la mole di lavoro derivante dall’obbligo delle segnalazioni.

Infine, sempre secondo Assoprovider, l’obbligo di monitoraggio del traffico, in cerca dei contenuti pezzotti da denunciare immediatamente, sarebbe contrario alle norme già esistenti sulla privacy degli utenti della rete.

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