SCIENZA

Uno studio ha individuato la principale causa dei terremoti: basta osservare il mare

Una ricerca scientifica approfondita ha scoperto come il livello dei mari in Turchia sia associato alle scosse dei terremoti, una correlazione poco approfondita

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Un fenomeno quasi impossibile da prevedere. I terremoti vengono descritti puntualmente in questa maniera, ma ci sono dei dettagli che possono essere notati e fare la differenza nelle previsioni. Prevenire è sempre meglio che curare e sapere con qualche anticipo quanto sta accadendo potrebbe evitare le conseguenze più gravi legate alle scosse.

Ne è un chiaro esempio quanto reso pubblico in uno studio scientifico apparso sulla rivista specializzata “Geophysical Research Letters”. Nonostante sia la terra a tremare, bisogna tenere sott’occhio i mari e i loro livelli. La ricerca è stata curata da alcuni sismologi che sono andati ad approfondire la situazione tipica della Turchia. Che cosa è emerso?

I terremoti che si possono scatenare

Entrando maggiormente nel dettaglio dello studio, dai dati emersi dalla penisola di Armutlu, nella sponda meridionale del Mar di Marmara, i piccoli stress associati alle fluttuazioni del livello del mare sono sufficienti per dar vita a terremoti fino a magnitudo non indifferenti. Si sta parlando di un valore pari a 4.5 della scala Richter, in grado di provocare danni diffusi e quindi da monitorare con la massima attenzione. Gli scienziati si sono appunto concentrati sull’attività sismica e sui cambiamenti registrati dal livello del mare in questa zona della nazione anatolica per circa 6 mesi, scoprendo una correlazione di grande interesse.

La probabilità che i terremoti si verificassero è aumentata in modo significativo ogni volta che il livello del mare tendeva ad alzarsi. Questo stesso effetto si è persino amplificato nel corso dei mesi invernali, proprio in corrispondenza dei valori più alti per quel che riguarda gli specchi d’acqua della penisola turca. Tra l’altro, i cambiamenti registrati nel Mar di Marmara non sono stati neanche significativi, circa 0,8 metri, ma sufficienti per provocare delle scosse sismiche allarmanti. L’area della Turchia a cui si sta facendo riferimento è ben nota in ambito sismologico per una ragione ben precisa.

Come tenere sotto controllo i terremoti

La faglia di Armutlu rappresenta una delle “diramazioni” di una faglia più grande, quella dell’Anatolia Settentrionale. È semplice da tenere sotto controllo perché si trova sulla terraferma, ma ci si chiede da tempo se anche la diramazione che scorre sott’acqua, ad appena 20 chilometri da Instanbul, possa essere monitorata allo stesso modo. L’ultima grave rottura della faglia turca risale al lontanissimo 1766, molto probabilmente a causa di un terremoto di magnitudo 7.0 o addirittura superiore. È un sisma che, letto e approfondito ai giorni nostri, non può non destare sensazione per tutto quello che riuscì a scatenare.

La data esatta è il 22 maggio 1766: il terremoto si accompagnò a un violento maremoto, con danni significativi e ben 4mila vittime conteggiate. L’evento sismico cominciò mezz’ora dopo l’alba, con una prima scossa che venne accompagnata da un boato impressionante e della durata di ben due minuti. Un’altra scossa meno intensa si prolungò invece per quattro minuti, con altre di assestamento. L’intera sequenza delle scosse registrate in seguito fu di un intero anno, con una rottura della faglia di lunghezza calcolata tra i 70 e i 120 chilometri complessivi. È un episodio lontano nel tempo ma che deve invitare a riflettere soprattutto dopo quanto scoperto in questi ultimi giorni.

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