Questi animali si stanno evolvendo in modo strano
C'è qualcosa di veramente strano nell'evoluzione dei Gerboa, roditori del deserto le cui ossa delle zampe stanno subendo delle sostanziali modifiche. Gli scienziati sono a dir poco colpiti
La natura è estremamente misteriosa, lo sappiamo bene. Eppure, nel suo essere così enigmatica, fornisce degli spunti sempre nuovi e interessanti. Uno degli ultimi input che ha deciso di fornirci riguarda i Gerboa, piccoli roditori del deserto molto diffusi in Nord Africa e in Asia, noti per essere incredibilmente veloci e per avere un udito eccellente.
Pare, infatti, che questi piccoli animali si stiano evolvendo in modo strano, del tutto non previsto. E, attenzione, proprio questa particolare evoluzione potrebbe cambiare le sorti della biomedicina e delle biotecnologie, influenzando la progettazione di vere e proprie gambe robotiche in grado di resistere alle forze fisiche più ostiche.
I gerboa e la loro misteriosa evoluzione
Ma dunque, cosa hanno a che fare dei piccoli roditori con i progressi legati alla biorobotica? Per capirlo bisogna fare un passo indietro e tenere presente che questi piccoli mammiferi sono noti non solo per le loro corse velocissime, ma anche per i loro salti irregolari. Proprio questi balzi discontinui sono, per loro, vitali: gli permettono infatti di evitare i predatori facendo forza in maniera alternata su una delle loro due piccole zampe.
Questo ha acceso l’attenzione di diversi scienziati sugli arti inferiori dei Gerboa, che, per altro, sono molto diversi da quelli della famiglia Dipodidae, cui appartengono. Fino ad adesso, le analisi mostravano che le estremità alla fine delle zampette fossero molto simili ai piedi dell’uomo, con i metatarsi separati gli uni dagli altri. Ora, però, un team di ricercatori dell’Università del Michigan ha scoperto che le ossa si stanno fondendo insieme, come per creare un’unica struttura.
«Abbiamo scoperto che alcuni Gerboa hanno buona parte delle ossa delle zampe anteriori fuse – scrive una delle ricercatrici, Carla Nathaly Villacís Núñez – e la cosa straordinaria è che questi esemplari si mostrano più resistenti alle sollecitazioni rispetto a quelli con le ossa non fuse: possono saltare anche portando con sé dei carichi e spingere ancor di più verso l’alto».
Le ossa fuse dei gerboa come superamento evolutivo
Sempre in base alla ricerca portata avanti dall’Università del Michigan, questa fusione delle ossa è da ritenersi un superamento evolutivo. Gli scienziati hanno infatti analizzato attentamente i risultati delle prestazioni ossee tra i vari esemplari. Per farlo hanno eseguito delle micro-Tac sia ad animali viventi che a campioni museali e hanno poi costruito dei modelli 3D dei metatarsi fusi dei gerboa.
Una volta creati i modelli, hanno simulato i movimenti di questa specie animale e hanno provato a sottoporre le zampe e i “piedi” dei gerboa a degli stress legati a colpi, flessioni e salti. È risultato chiaro che i gerboa evoluti, dunque con tre ossa metatarsali fusi in una sola, erano in grado di sostenere ogni tipo di prova, più a lungo, con meno sforzo e con maggiore resistenza. «È evidente – ha detto Talia Moore, professoressa di biorobotica e autrice senior dello studio – che l’evoluzione ha fatto un passo avanti. E possiamo solo prendere spunto».
I metatarsi dei gerboa e la biorobotica umana
Già, ma in che senso prendere spunto? Sempre secondo la professoressa Moore, i metatarsi dei gerboa avevano già raggiunto una sorta di geometria parzialmente fusa, ma la spinta evolutiva avrebbe portato a una fusione completa che impedisce (o rende molto difficile) alle ossa di rompersi. La ricercatrice sostiene, insieme al suo team, che questa scoperta potrebbe aprire a nuovi campi d’indagine finalizzati all’individuazione di tutti i cambiamenti degli scheletri animali legati alla locomozione.
Queste indagini, sempre secondo la Moore, si potrebbero creare dei modelli sempre più sviluppati di gambe/piedi e arti umani all’avanguardia, sfruttando le conquiste evolutive delle varie specie e concentrandosi in particolare su quelle bipedi. Non resta, dunque, che attendere nuovi risvolti.