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SCIENZA

Qualcosa sta avvelenando i nostri animali: l'allarme

L'inquinamento da microplastiche non minaccia solo mari e oceani, ma anche piccole specie terrestri: i ricercatori lanciano un preoccupante allarme.

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Le miscroplastiche stanno avvelenando i piccoli animali Fonte foto: 123RF

Che i danni causati dall’inquinamento di mari e oceani siano ingenti non è un segreto, ma un recente studio a opera di un gruppo di ricercatori del Regno Unito ci restituisce dati preoccupanti: più della metà delle piccole specie di mammiferi presenti in Inghilterra e Galles contengono altissime concentrazioni di microplastiche nel loro organismo. Non solo le specie acquatiche, dunque, ma anche quelle terrestri sono esposte a questo tipo di inquinamento. E l’impatto che la plastica sta avendo sulla fauna selvatica locale è a dir poco allarmante.

Microplastiche nei mammiferi terrestri

Secondo il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo (EPRS), ogni anno dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mari e oceani, inquinandoli senza scampo. La plastica degrada molto lentamente (si parla di centinaia di anni) e in questo enorme lasso di tempo si separa in microscopiche particelle che qualunque animale può ingerire con estrema facilità, uomo incluso. Sono le cosiddette microplastiche, un problema a cui si sta cercando di porre rimedio trovando sia delle soluzioni per ripulire i nostri bacini d’acqua che dei materiali alternativi, riciclabili e non nocivi per la salute.

Eppure il problema a quanto pare è molto più diffuso di quanto si pensi. Stando all’ultimo studio di un team di ricercatori dell’Università del Sussex , della Mammal Society e dell’Università di Exeter pubblicato su Science of the Total Environment, anche i piccoli mammiferi terrestri sono esposti all’inquinamento da microplastiche esattamente come le specie acquatiche e lo stesso uomo.

"Si sa molto dell’impatto della plastica sugli ecosistemi acquatici – ha affermato la professoressa di biologia ambientale dell’Università del Sussex, Fiona Mathews – ma si sa molto poco dello stesso con i sistemi terrestri. Analizzando gli escrementi di alcuni dei nostri piccoli mammiferi più diffusi [in Galles e Inghilterra, ndr], siamo stati in grado di fornire un’idea del potenziale impatto che la plastica sta avendo sulla nostra fauna selvatica e della plastica più comune che fuoriesce nel nostro ambiente".

Le specie analizzate

Come riporta lo studio finanziato dal Consiglio di ricerca sull’ambiente naturale, dalla Società dei mammiferi, dal Fondo universitario per il benessere degli animali (UFAW) e dal Jubilee Trust, il team di ricerca è rimasto molto sorpreso dai dati raccolti: l’ingestione di plastica da parte dei piccoli mammiferi analizzati non dipende da un luogo in particolare o da specifiche abitudini alimentari. In pratica le microplastiche sono presenti nell’organismo di animali come il topo bruno, l’arvicola, il topo di legno e il riccio europeo a prescindere dall’habitat in cui vivono.

Guardando lo studio nel dettaglio, questo dato appare ancor più evidente. I ricercatori hanno analizzato 261 campioni di feci appartenenti alle quattro piccole specie sopracitate e di questi il 16,5% conteneva plastica tra poliestere, polietilene, polinorbornene. I dati relativi al poliestere in particolare sono risultati allarmanti: è stato trovato in tutte le specie (a eccezione del topo di legno) ed è ampiamente diffuso nelle acqua reflue, perciò nel terreno.

Cause dell’inquinamento da microplastiche

Animali erbivori, insettivori e onnivori, dunque, a prescindere dalla specie di appartenenza, dall’habitat e dalle abitudini alimentari sono ormai coinvolti in un inquinamento senza precedenti, avvelenati dalle microplastiche che hanno invaso ogni singolo angolo del pianeta, non solo mari e oceani. I ricercatori ritengono che le microplastiche siano state trovate nelle feci dei piccoli animali sia a causa del consumo di prede contaminate che per ingestione diretta delle particelle di plastica.

Le microplastiche sono insidiose e possono facilmente confondere i piccoli animali: alcuni le scambiano per cibo, altri invece per materiale adatto alla nidificazione o alla costruzione della tana o del giaciglio. Dallo studio è emerso un altro dato rilevante e che i ricercatori non si aspettavano, e cioè che i campioni prelevati delle aree urbane hanno concentrazioni di plastica maggiori rispetto a quelli prelevati nelle aree rurali.

"Dobbiamo cambiare del tutto il nostro rapporto con la plastica – ha affermato il dottor Adam Porter, co-autore dello studio -; allontanarsi dagli articoli usa e getta e passare alla sostituzione della plastica per alternative migliori e stabilire economie veramente circolari".

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