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SCIENZA

Scoperta una nuova specie di medusa aliena in Italia: dove è stata avvistata

Scoperta in una grotta carsica triestina la medusa d’acqua dolce Craspedacusta sowerbii, specie aliena dall’Asia; eDna rivela impatto su ecosistemi ipogei

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Medusa Fonte foto: iStock

Sotto 300 metri di roccia carsica, in una porzione quasi inesplorata del fiume Timavo, i ricercatori dell’Università di Trieste, con la Società Adriatica di Speleologia, hanno fatto una scoperta incredibile: una medusa d’acqua dolce proveniente dall’Asia orientale.

Il suo nome è Craspedacusta sowerbii e vive nella grotta Luftloch, a Trieste. La tecnica dell’eDNA, ovvero il DNA ambientale, ha consentito l’identificazione di tracce generiche lasciate da questa specie invasiva. Fino a oggi era nota soltanto in acque superficiali.

Dalla valle del Yangtze al Carso

Questa particolare medusa è originaria dei corsi d’acqua presenti nella valle del fiume Yangtze. Com’è dunque arrivata la Craspedacusta sowerbii fino a qui? Probabilmente è stata trasportata da uccelli migratori. Si sono dunque trasformati in dei vettori inconsapevoli di polipi millimetrici.

Questi, una volta depositati lungo rive o laghi, si sono diffusi fino a completare una colonizzazione molto approfondita, che ha riguardato anche tratti sotterranei.

Il progetto è stato coordinato da Chiara Manfrin (Dipartimento di Scienze della Vita – UniTS), con il Museo di Storia Naturale di Trieste. Sono stati sfruttati ben 100 campioni di eDNA, prelevati nella caverna Luftloch. È stato così possibile “fotografare” la biodiversità ipogea. Ciò ha consentito la scoperta di una presenza della specie aliena asiatica tra isopodi, crostacei e insetti tipici dell’ambiente carsico.

Caratteristiche e impatto potenziale

Questa medusa, una volta adulta, vanta un corpo translucido, caratterizzato da tenui riflessi bianco-verdi. Ha inoltre dei tentacoli dotati di capsule urticanti, così da poter catturare le proprie prede.

Allo stadio di polipo è decisamente sfuggente e si confina in pochi millimetri. È però alquanto resistente, in grado di resistere anche fuori dall’acqua per brevi periodi. In ambienti ipogei, l’assenza di luce, mista alla costanza di temperatura, non sembrano ostacolarne la sopravvivenza.

È una specie invasiva, già diffusa in laghi e fiumi europei. Esiste una documentazione approfondita in merito. Ora però la scoperta in cavità sotterranee evidenzia una capacità d’adattamento sorprendente e sconosciuta.

Ha dunque le potenzialità di competere con specie native di zooplancton. Ciò, insieme con la possibile alterazione delle reti trofiche del Timavo, rappresenta un serio motivo di preoccupazione per la conservazione degli ecosistemi carsici.

Gestione delle risorse sotterranee

Questa scoperta getta luce sulla rilevanza dell’integrazione di speleologia scientifica e ricerca molecolare. Al fine di evitare che questa medusa, così come altre specie invasive, possa compromettere la fauna ipogea endemica, è necessario:

  • estendere il monitoraggio eDNA a ogni cavità carsica del Carso;
  • implementare delle misure di contenimento, in corrispondenza di prelievi idrici e sbocchi artificiali;
  • sensibilizzare stakeholder locali, come agenzie ambientali, speleo-club e non solo;
  • promuovere dei progetti di ricerca congiunti, che portino sul campo università, musei e istituti di biodiversità.
  • Soltanto una strategia integrata è in grado di garantire la salvaguardia degli ecosistemi ipogei, decisamente delicati, preservando la ricchezza biologica che rende il Carso triestino unico nel suo genere.