No, l'intelligenza artificiale non ruba posti di lavoro: un'analisi su paure diffuse e rischi reali
No, l'intelligenza artificiale non ruba posti di lavoro: un'analisi su paure diffuse e rischi reali emersi da uno studio dell'Università di Zurigo.

Mentre l’intelligenza artificiale (AI) entra in modo sempre più capillare nelle nostre vite, il dibattito pubblico si divide tra chi teme scenari da fantascienza e chi guarda con preoccupazione ai problemi già in corso, come la disinformazione, i bias algoritmici o il possibile impatto sul mondo del lavoro.
Una nuova ricerca dell’Università di Zurigo (UZH), condotta su oltre 10.000 persone in USA e Regno Unito, getta luce su queste paure. I risultati sono chiari: le persone sono più preoccupate dai rischi immediati legati all’AI che da eventuali catastrofi future. E questo dovrebbe far riflettere anche chi, spesso con toni allarmistici, annuncia la “fine del lavoro umano” per mano delle macchine.
Intelligenza artificiale e futuro: quali sono le paure più diffuse
Il team di ricercatori dell’Università di Zurigo, guidato dal professor Fabrizio Gilardi, ha raccolto e poi confrontato le reazioni di diversi partecipanti allo studio, che sono stati sottoposti a titoli e testi su rischi esistenziali (come l’estinzione dell’umanità per colpa dell’AI) con quelli che invece leggevano contenuti su problemi reali e attuali: disinformazione, discriminazioni algoritmiche, automazione del lavoro.
“I partecipanti si sono dimostrati capaci di distinguere tra pericoli teorici e problemi concreti, e a dare priorità a questi ultimi”, ha spiegato Gilardi.
Il risultato sorprendente è che, anche quando esposti a scenari apocalittici, le persone non smettono di prestare attenzione ai problemi reali già evidenti nella società. Il che smentisce l’idea, diffusa anche tra alcuni esperti, che le narrazioni catastrofiste distolgano l’attenzione dalle vere urgenze.
Lavoro e AI: una trasformazione, non una sostituzione
Uno dei nodi centrali, ovvero una delle principali preoccupazioni oggi legate all’intelligenza artificiale, resta l’occupazione. Ma dire che l’AI “ruba i posti di lavoro” è una semplificazione fuorviante. I dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), per esempio, mostrano che l’automazione sta sì sostituendo alcune mansioni, ma ne sta anche creando di nuove, spesso più qualificate e meglio retribuite.
Secondo uno studio di Goldman Sachs, l’AI generativa potrebbe influenzare fino a 300 milioni di posti di lavoro a livello globale. Ma influenzare non significa cancellare: si tratta di un cambiamento profondo nelle competenze richieste, più che una scomparsa del lavoro in sé.
Nel frattempo, professioni legate all’intelligenza artificiale stessa (sviluppatori, data analyst, esperti in etica digitale) sono in forte crescita. E molti settori – dalla sanità all’istruzione – stanno già sperimentando l’AI come strumento per migliorare l’efficienza, non per eliminare il lavoro umano.
Disinformazione e bias i veri rischi
Il rischio concreto che emerge dalla ricerca dell’Università di Zurigo, il problema dell’uso diffuso e smoderato dell’intelligenza artificiale, non è tanto legato alla “sostituzione” umana, ma alla normalizzazione di errori sistemici, come quelli legati alla discriminazione algoritmica. Algoritmi utilizzati nei processi di selezione del personale, nella giustizia o nel credito possono cioè riprodurre ed amplificare pregiudizi sociali, penalizzando minoranze o fasce vulnerabili.
Altro tema urgente, poi, è la disinformazione. L’uso di IA generativa per creare contenuti falsi (testi, video deepfake, immagini manipolate) sta aumentando, con impatti potenzialmente destabilizzanti su elezioni, opinione pubblica e convivenza civile.
Come spiega la coautrice dello studio, Emma Hoes, “non si tratta di scegliere tra parlare dei rischi futuri o di quelli attuali. Serve una comprensione congiunta e articolata di entrambi”.
Questo significa che l’opinione pubblica, i media e i policy maker devono evitare il sensazionalismo, ma anche non cadere nell’inerzia. Serve una regolamentazione intelligente, che promuova l’innovazione, ma protegga i diritti delle persone. L’Unione Europea, ad esempio, si sta muovendo in questa direzione con l’AI Act, la prima legge al mondo a regolamentare in modo sistematico i sistemi di intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale, in questo senso, non è una minaccia al lavoro, ma una sfida di adattamento. Come ogni rivoluzione tecnologica, porta con sé opportunità e rischi. Ma i dati e le ricerche mostrano che i cittadini sono tutt’altro che ingenui: temono meno la fantascienza, e molto di più la realtà. E hanno ragione. Affrontare i problemi veri – discriminazioni, disinformazione, nuove diseguaglianze – è il primo passo per costruire un futuro in cui l’AI sia davvero al servizio dell’umanità.